martedì 10 dicembre 2013
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Nell’ultimo rapporto del Censis si faceva riferimento all’assenza di conflitto sociale. Sembrava questo uno dei temi su cui interrogarsi. Al contrario era invece prevedibile che covasse nella società italiana la dimensione del disagio, del rancore, della povertà, delle difficoltà causate dalla crisi, e tutto questo inevitabilmente  presupponeva perlomeno forme di resistenza». Il sociologo Aldo Bonomi non è sorpreso dalle manifestazioni di piazza che da ieri si stanno moltiplicando in tutto il Paese.Come interpreta queste reazioni?Le istanze stanno esplodendo nelle forme che abbiamo visto ieri e che non si esauriranno in pochi giorni. Quella a cui stiamo assistendo è una fenomenologia del conflitto che si intravede nella composizione sociale di questo rancore. La sensazione di chi protesta è di essere parte di una maggioranza amplissima di persone colpite dagli effetti della crisi.Come definirebbe il movimento di persone scese in piazza?Più che di movimento si può parlare di moltitudine a cui partecipano pezzi della logistica dei trasporti, i cassintegrati, commercianti, operai, tutte categorie in difficoltà. Altri porranno l’accento sulle connotazioni ideologiche o di infiltrazioni estremistiche, ma il problema è che abbiamo a che fare con un disagio vero davanti al quale non si può far finta di niente. Soprattutto occorre evitare le semplificazioni.A cosa si riferisce?Altri porranno l’accento sulle connotazioni ideologiche o di infiltrazioni estremistiche, ma il problema è che abbiamo a che fare con un disagio vero.Come leggere questi fatti?Occorre guardare alla luna e non al dito. E in questo caso il dito sono le modalità delle proteste e i tentativi di politicizzazione. La luna è il problema generale. Dalle condizioni economiche, certo, alla crisi della rappresentanza tradizionale. Eravamo abituati a pensare che la congiuntura negativa toccasse solo gli operai, ma poi hanno cominciato a suicidarsi imprenditori, a chiudere negozi, a vedere pensionati sul lastrico, mentre i giovani precari non possono fare progetti. È questa la "moltitudine" dentro alla quale sono comprese tutte queste componenti.Cosa dovrebbe fare la politica per riannodare i fili di un paese sfilacciato?Quello da mettere in agenda sono problemi che conosciamo: una parte ampia e trasversale (anagraficamente, politicamente, culturalmente) di questo Paese è assolutamente in difficoltà. Sapevamo benissimio che il conto del costo sociale della crisi sarebbe arrivato. Occorre ascoltare l’urlo non più silenzioso di chi ormai non sa più come andare avanti. Di chi domanda una rappresentanza e reclama politiche che non possono basarsi sull’austerity che produce disagio ed emarginazione. Quello che scende in piazza è un Paese che soffre. E va ascoltato.
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