venerdì 22 settembre 2023
Il primo comunista (atipico) a salire al Quirinale e ad essere eletto per un secondo mandato. Self control anglosassone e pignoleria teutonica
Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano - Ansa

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Si è spento oggi, alle 19.45, il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Era ricoverato alla clinica Salvator Mundi al Gianicolo, a Roma.

Con Giorgio Napolitano se ne va il primo comunista al Quirinale, e il primo presidente della Repubblica ri-eletto per un secondo mandato, che poi, però, eserciterà per meno di due anni, prima di lasciare. Il simbolo dell’eurocomunismo, la dottrina che Enrico Berlinguer fece sua negli anni Settanta, pur essendo Napolitano, da leader degli ex "amendoliani", formalmente un avversario interno. Il 29 giugno aveva compiuto 98 anni. Da più di tre anni era assente dalla scena politica e non usciva quasi più dalla sua casa in vicolo dei Serpenti nel centralissimo quartiere Monti, a soli 300 metri dal Quirinale e a metà strada fra Montecitorio e il Viminale, i due Palazzi delle istituzioni che lo hanno visto protagonista della vita istituzionale prima della elezione al Colle.

Il primo comunista italiano accreditato dall’amministrazione americana, sin dal 1978, l’anno del sequestro Moro. Comunista atipico e napoletano senza l’aria di esserlo, self control anglosassone e pignoleria teutonica, della sua città di origine si portava dietro la vena artistica, poco coltivata in età matura, e una visione politico culturale cosmopolita tipica della ex Capitale del Sud Italia. Appassionato di teatro, in quella Napoli colta e raffinata, della sua gioventù in anni difficili non rinnegava nemmeno la breve militanza nei Guf, i giovani universitari fascisti, nel 1942, «in effetti un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste mascherato», dirà. Amico di attori e registi come Francesco Rosi e Peppino Patroni Griffi, si dilettò da critico cinematografico e anche da attore, nel teatro degli Illusi. Nel 1944, poi, l’adesione al Partito comunista, fra i primi compagni di avventura Maurizio Valenzi, che poi sarà sindaco di Napoli, e Gerardo Chiaromonte. La laurea in giurisprudenza nel 1947 con una tesi ("Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia") che già tradiva la vocazione per l’impegno politico più che per le aule dei tribunali. Napoletana anche sua moglie, Clio Maria Bittoni, che sposerà nel 1959, e gli darà due figli, Giovanni nato nel 1961 e Giulio, nato nel 1969.

Deputato a soli 28 anni, nel 1953, il suo primo incarico lo vede proprio responsabile della commissione meridionale del Pci. Leader storico della corrente anti-massimalista dei "miglioristi", eppure dei primi anni di impegno politico gli verrà costantemente addebitata la sua posizione "allineata" sull’intervento sovietico in Ungheria nel 1956, necessario a «impedire il caos e la controrivoluzione», disse all’epoca. Una vicenda vissuta in realtà con «grande tormento» confesserà poi, e che contribuirà ad avvicinarlo a Giorgio Amendola, capostipite storico del filone “dialogante” del Pci. Sempre in minoranza, ma quanto mai influente sulla linea politica, in un partito proiettato progressivamente a smarcarsi dall’orbita sovietica. Scalate tutte le posizioni interne, dal 1966 al 1969 fu coordinatore della segreteria, aprendo da un lato all’opzione socialdemocratica propugnata dall’Ostpolitik di Willy Brandt, e dall’altro alla Nato e agli Stati Uniti, primo dirigente comunista a ottenere un visto per gli Usa, dove terrà a fine anni 70 interi cicli di conferenze. Cresceva intanto la sua impostazione europeistica, sposando le posizioni di Altiero Spinelli, e nel contempo la sua distanza dall’Unione Sovietica. Nel Pci di Enrico Berlinguer Napolitano critica come «a rischio settarismo» la scelta del segretario di sposare la «questione morale» abbandonando, dopo la morte di Aldo Moro, ogni forma di collaborazione politica col centrosinistra. Ma sulla politica estera rappresentava l’uomo giusto al posto giusto per accreditare presso tutte le cancellerie europee, e non solo, l’eurocomunismo filo-atlantico propugnato dal segretario nella fase in cui il Pci ha più volte accarezzato il sogno del sorpasso sulla Dc. L’approdo nelle alte istituzioni per lui avviene nel 1992, quando subentra alla presidenza della Camera a Oscar Luigi Scalfaro eletto al Quirinale, dopo esser stato a lungo (dal 1981 al 1986) alla guida del gruppo dei deputati comunisti. Anni difficili, che vedono l’esplosione di Tangentopoli. Giorni segnati dal celebre discorso di addio di Bettino Craxi che lo chiamò in causa apertamente. Il primo aprile 1993 memorabile la sua decisione di bloccare i lavori della Camera, quando una manifestazione indetta dai giovani del Fronte della Gioventù, legati al vecchio Msi, cinge d’assedio Montecitorio al grido di «Arrendetevi, siete circondati!». Per Napolitano è una «irresponsabile gazzarra» e chiede al ministro dell’Interno Nicola Mancino di relazionare ad horas. Sarà proprio il Viminale il suo successivo approdo (non più parlamentare), dove co-firmò la legge Turco-Napolitano, prima regolamentazione del fenomeno immigrazione che iniziava ad affacciarsi prepotentemente nel nostro Paese, alle prese con un crescente calo demografico.

L’elezione al Quirinale avviene alla quarta votazione il 10 maggio 2006 - dieci mesi dopo la nomina a senatore a vita da parte del predecessore Carlo Azeglio Ciampi - con una larga maggioranza bipartisan che include Forza Italia. Anni tormentati, seguiti alla flebile vittoria del centrosinistra di Romano Prodi; anni di difficile interlocuzione, poi, dal 2008, anche col nuovo inquilino di Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, suo grande elettore al Colle uscito forte come non mai dal voto politico, ma poi azzoppato dalla defezione di Gianfranco Fini e dall’incombere della crisi economica.

Napolitano diventa “re Giorgio”, gli si attribuisce a torto o a ragione un ruolo decisivo, oltre che nella stessa scelta di Fini, in tutte le vicende tormentate che accadranno di lì in poi. Di sicuro è il principale stratega della nomina di Mario Draghi al vertice della Bce, essendosi speso con forza per lui con tutte le cancellerie europee.

Una pagina drammatica, che segna una grave frattura non solo istituzionale, la decisione di non promulgare il decreto varato d'urgenza dal governo Berlusconi in relazione al caso di Eluana Englaro, il 6 febbraio del 2009, che intendeva impedire di sospendere l’alimentazione assistita a pazienti non in grado di nutrirsi da soli. Napolitano in una lettera confermò la sua decisione di non controfirmare il decreto come preannunciato al governo, prendendo atto «con rammarico della deliberazione da parte del Consiglio dei ministri».

Le cose cambiano due anni dopo. L’astro Berlusconi ora è in caduta libera, cresce la speculazione sui mercati. Nel discorso che tiene in agosto all'apertura del Meeting di Rimini parla dell'attacco in corso sul debito sovrano e già prospetta la possibilità di una fase di pacificazione nazionale e larghe intese per difendere la credibilità del Paese. La situazione peggiora in autunno. Drammatica la sera dell’otto novembre 2011, quando, con lo spread oltre 700 punti, il Cavaliere sale al Colle e al termine del colloquio con Napolitano matura la decisione di lasciare, che formalizzerà quattro giorni dopo. Vicenda che apre la strada al governo delle larghe intese prima di Mario Monti e poi di Enrico Letta segnando una rottura con il leader di Forza Italia che non impedirà, un anno e mezzo dopo, di vederlo di nuovo fra i protagonisti di una ri-elezione senza alcun precedente (ma lo rappresenterà per Sergio Mattarella, 9 anni dopo). Accetta, Napolitano, di restare in virtù di una situazione «eccezionale» e «fin quando le forze mi sorreggeranno». Si dimetterà presto, il 14 gennaio 2015, dopo averlo preannunciato nel discorso di fine anno, il suo ultimo.
Non credente, ma non indifferente al tema, mantenne un rapporto molto cordiale con Benedetto XVI che gli anticipò, fra i pochissimi, la decisione delle sue dimissioni proprio in una fase in cui pensava che toccasse a lui lasciare, a fine mandato, il Quirinale. Poi, invece, la rielezione a larghissima maggioranza. Ma quel biennio in più segnerà la pagina più amara dei suoi 9 anni al Quirinale, con la chiamata in causa, da parte della Procura palermitana, per la presunta trattativa Stato-mafia, e la morte per infarto del suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, che era stato intercettato nei colloqui con Nicola Mancino. Nel mirino dell’asse giustizialista Grillo-Di Pietro per la promulgazione del cosiddetto "lodo Alfano" e dello "scudo fiscale", ma anche del centrodestra, che gli addebiterà come una forzatura, o - peggio - come un complotto internazionale quelle dimissioni di Berlusconi del 2011, sull’onda della speculazione dei mercati. Così gli sarà addebitata come indebita pressione, in quello stesso anno, la sua posizione sull’intervento in Libia, con Berlusconi che era contrario da tradizionale amico di Gheddafi, entrato già nella fase di difficoltà politica.

Ma anche in quel caso, come con la nomina di Draghi, a torto o a ragione, il suo riferimento fu l’Europa. Dal 1989 al 1992 era stato membro del Parlamento europeo. Dopo la sua parentesi da presidente della Camera e poi da ministro dell’Interno era stato rieletto deputato europeo nel 1999, ricoprendo il ruolo, fino al 2004, di Presidente della Commissione per gli Affari costituzionali del Parlamento europeo.

L’Europa è presente anche nella sua ricca bibliografia. Nel libro Europa e America dopo l'89, del 1992, sono raccolte le conferenze tenute negli Stati Uniti dopo la caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti. Nel 2002, aveva pubblicato il libro Europa politica; nel 2005, Dal PCI al socialismo europeo: un’autobiografia politica. L’ultima sua fatica letteraria, proprio nel cruciale 2011, Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia. Dopo le dimissioni dal secondo mandato, il 14 gennaio 2015, la progressiva uscita di scena. Il 21 maggio dello scorso anno aveva destato preoccupazione il suo ricovero allo Spallanzani per un intervento mini-invasivo all’addome che aveva però superato bene. Uno dei suoi ultimi atti pubblici, un telegramma in ricordo di un altro grande amico della sua formazione partenopea, lo scorso 27 giugno, inviato ai familiari dello scrittore Raffaele La Capria, manifestando loro «intenso dolore» per la scomparsa del «caro Dudù, straordinario e finissimo scrittore, fraterno amico per 80 anni».

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