sabato 20 luglio 2019
Dove prima c’erano decine di metri di neve, oggi si cammina sulle rocce e il ghiacciaio, laggiù in basso, mostra evidenti segni di sofferenza. Una «Carta» per il futuro
Il ghiacciaio dell'Adamello

Il ghiacciaio dell'Adamello

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Dove prima c’erano decine di metri di neve, oggi si cammina sulle rocce e il ghiacciaio, laggiù in basso, mostra evidenti segni di sofferenza. Il rifugio Ai Caduti dell’Adamello è un balcone mozzafiato, a tremila metri di quota, sul più grande ghiacciaio delle Alpi italiane. Una distesa di quindici chilometri quadrati, dove cent’anni fa passava la linea del fronte della Prima Guerra mondiale, di cui restano, a perenne testimonianza, le matasse di filo spinato accatastate nei pressi della costruzione. Degli 800 milioni di metri cubi di ghiaccio del 1990, oggi ne resta poco più della metà e la distesa, un tempo immacolata, presenta chiazze nere sempre più vaste, segno che la metastasi sta avanzando inesorabilmente.

Soltanto negli ultimi quindici anni, il ghiacciaio dell’Adamello ha perso ventiquattro metri di spessore e ogni giorno si riduce sempre più. Anche la grande croce eretta per ricordare le due visite di papa Giovanni Paolo II, che nel 1984 e e nel 1988 qui celebrò Messa per i caduti della Grande Guerra, è completamente esposta e le rocce della cima sono evidenti, mentre, fino a pochi anni fa, erano ricoperte da uno strato di neve perenne. Basta arrampicarsi fin quassù, come hanno fatto ieri docenti universitari e rappresentanti delle associazioni alpinistiche, per rendersi conto della devastazione provocata, anche a queste altezze, dai cambiamenti climatici e dal surriscaldamento del pianeta, per effetto dell’aumento delle concentrazioni di gas climalteranti nell’atmosfera.

Proprio per sensibilizzare le istituzioni e i cittadini sulla necessità e urgenza di un deciso cambiamento di rotta, l’Università degli studi di Brescia – con la Rete delle Università sostenibili (Rus), il Club alpino italiano (Cai) e il Comitato glaciologico italiano (Cgi) – ha promosso la Carta dell’Adamello, una sorta di manifesto della comunità scientifica nazionale, con l’obiettivo di diffondere la cultura della sostenibilità e stimolare i decisori politici a mettere in campo, quanto prima, iniziative per combattere il riscaldamento globale.

«Due anni fa – spiega il rettore Maurizio Tira – l’Università di Brescia è partita con un progetto sui 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Abbiamo approfondito queste tematiche e fondato un Centro di ricerca interdipartimentale sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Oggi lanciamo la Carta dell’Adamello, documento che vuole impegnare le università a continuare la ricerca sui cambiamenti climatici e rendere possibili misure che li contrastino efficacemente.

La fusione dei ghiacciai fa venir meno le riserve idriche di cui abbiamo bisogno per vivere. Qui c’è l’acqua che beviamo. Io sono venuto quassù da bambino, il ghiacciaio era immensamente più lungo e dalla fronte usciva un rigagnolo. Oggi hanno dovuto costruire un ponte per attraversare un grande fiume, che è formato dallo scioglimento del ghiacciaio. Secondo i nostri modelli matematici, i rilievi glaciologici e le proiezioni di modelli climatici, il ghiacciaio scomparirà entro la fine del secolo. Ed è di tutta evidenza che questo creerà un grosso problema alle popolazioni, ma anche all’agricoltura, alla biodiversità. Per fortuna – aggiunge il rettore – sta aumentando la consapevolezza da parte della gente, ma anche della politica. Il problema è la lentezza nel prendere le decisioni».

Il fenomeno osservato qui sull’Adamello, che nell’ultimo decennio ha rappresentato una “palestra scientifica”, è riscontrabile, con dimensioni enormemente più grandi, in Antartide e Groenlandia, dove la durata della stagione di fusione dei ghiacci è aumentata di una ventina di giorni in un decennio, traducendosi in un aumento del livello di mari e oceani di 5 centimetri al secolo. «Ciò significa – ricorda Roberto Ranzi, ordinario di costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia all’Università di Brescia – che, tra alcuni secoli, potrebbe anche essere compromessa la vivibilità di Venezia. Che i nostri pronipoti visiteranno con la tuta da sub. Per frenare questa deriva, che per l’ecosistema alpino rappresenta una gravissima minaccia, dobbiamo, da subito, consumare meno combustibili fossili, muoverci di più a piedi e promuovere l’utilizzo di energie rinnovabili».

Riscaldamento globale e innalzamento dei livelli dei mari, saranno anche le cause di future migrazioni delle popolazioni che oggi vivono in territori già fortemente colpiti da questi fenomeni e sono anche tra le più povere del pianeta. Lo ricorda Maurizio Frezzotti, presidente del Comitato glaciologico italiano. «I ghiacciai – sottolinea – sono un’icona negativa del fenomeno dei cambiamenti climatici. Si stanno ritirando a livello planetario e contribuiscono, per i due terzi, all’innalzamento del livello del mare, che ha raggiunto i tre millimetri all’anno.

Il ghiacciaio rappresenta un serbatoio d’acqua durante la stagione estiva. E questo è tanto più importate in Paesi, come il Pakistan, dove il 90 per cento dell’agricoltura dipende dalla fusione delle nevi. In Bangladesh, invece, già oggi 15 milioni di persone vivono in un metro d’acqua. Una massa enorme di gente che, a causa dell’innalzamento degli oceani, sarà costretta ad andarsene. In Occidente, per esempio in Inghilterra e Olanda, sono state costruite dighe alte sette metri per difendersi. Ma i Paesi poveri non hanno questa possibilità e risentiranno maggiormente dei cambiamenti climatici, diventando ancora più poveri».

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