mercoledì 11 maggio 2016
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«Utile e cordiale». Così gli inquirenti italiani giudicano il vertice svoltosi domenica al Cairo con i magistrati egiziani che stanno indagando sulla morte di Giulio Regeni. Una faticosa ricerca della verità su cui ieri è intervenuto lo stesso procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, per il quale non è certo che si arriverà a risultati concreti. «Deve essere chiaro – ha affermato – che le indagini sono in capo all’autorità e alla polizia giudiziaria egiziane. Noi collaboriamo nel limite del possibile». Ieri, intanto, ufficiali del Ros e funzionari dello Sco, rientrati a Roma, si sono recati a piazzale Clodio per fare il punto della situazione su quanto avvenuto nella due giorni egiziana. Gli investigatori hanno illustrato i documenti consegnati dagli egiziani. Sostanzialmente è stata accolta buona parte delle richieste della procura di Roma sollecitate nella seconda rogatoria partita il 14 aprile scorso. I magistrati della procura generale del Cairo hanno consegnato in tutto una trentina di pagine, in arabo, relative ai tabulati telefonici di sei cittadini egiziani e ai verbali di audizioni di testimoni. La procura ne aveva chiesti una ventina, ma non tutti sarebbero stati consegnati. I magistrati del Cairo hanno assicurato anche che consegneranno le relazioni scientifiche riguardanti gli esami degli abiti che Giulio indossava quando fu trovato morto. Di tutte le richieste avanzate, ne restano dunque tre al momento ancora inevase dall’Egitto fra cui anche l’elenco dei telefoni agganciati dalla cella di Dokki, il quartiere dove abitava Giulio, e che il 3 febbraio, giorno del ritrovamento del corpo, hanno impegnato la cella che copre la superstrada Cairo-Alessandria; i tabulati di due utenze di cittadini egiziani e i verbali di alcune testimonianze. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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