giovedì 22 luglio 2010
Choc, isolamento, smarrimento: boom del consumo di psicofarmaci. Il malessere più grave e insidioso del dopo-sisma è quello dei rapporti umani. Negli alloggi provvisori e negli insediamenti in legno in periferia alla gente manca soprattutto la forza di reinventarsi una vita di relazione.
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Il fardello pesante nella ricostruzione abruzzese arriva adesso. Che la fase che si vive a L’Aquila sia molto delicata lo si capisce da quando nel linguaggio degli addetti ai lavori è entrata la parola «questione sociale». Sì, perché dopo la fine dell’emergenza e dei bisogni materiali, ora è il momento in cui la voglia di comunità e di vivere in convivialità si scontra con la difficoltà di farlo davvero. La vedi in una città senza più agorà, nei corridoi dei centri commerciali, trasformati ormai nei nuovi portici e nella via dello struscio, negli occhi tristi e disorientati di chi nel centro storico ancora puntellato si ostina a tornare, quasi come se un tuffo nel passato e un caffè nell’unico bar aperto, potesse scacciare via quella paura del futuro che stringe lo stomaco. E la senti, invece, in quel buio che c’è tra le nuove case antisismiche e la vecchia città. Sono due solitudini che si sfiorano, l’una in un cuore che non pulsa più, animato di tanto in tanto dalle assemblee cittadine e dalle bancarelle del mercato, l’altra, quella giovane e antisismica che ha ridato un tetto a tanti aquilani, vuota di vita.Il malessere non lo si legge solo nello sguardo della gente o facendo un giro nelle farmacie-container dell’Aquila, ma adesso anche nei numeri della Società italiana di farmacia ospedaliera. «Lo choc psicologico derivante dal disastro naturale ha fatto schizzare in alto le prescrizioni di antidepressivi», denunciano. Secondo i dati forniti della Asl dell’Aquila, infatti, sono aumentate del 37% le prescrizioni di farmaci antidepressivi e del 129% quelle di antipsicotici, nei sei mesi successivi al terremoto. «Qui stiamo bene, ma ci sentiamo soli, siamo lontani dalla città, per chi come me non ha la macchina è come stare in isolamento. Tutto questo ancora è più duro per chi ha lasciato un figlio tra le macerie». Annalucia abita al primo piano nella palazzina dalle ringhiere grigie nel villaggio di Preturo, non si lamenta della nuova sistemazione, «una necessità» dice, ma del nulla che c’è intorno. Negli alloggi provvisori e negli insediamenti in legno in periferia manca soprattutto la forza di reinventarsi una vita di relazione. «Lì c’è il nostro unico momento di socialità». È la tenda Amica che Caritas e Protezione civile hanno realizzato qui come in altri sette villaggi. È chiesa di domenica, oratorio per i fanciulli, bar dello sport durante gli ultimi mondiali, ma è soprattutto un piccolo frammento di realtà vissuta in una capoluogo che continua ad aver molto di surreale. La solidarietà potrebbe far nascere presto nuovi spazi comunitari, ma è la burocrazia a tirare il freno.«C’è uno smarrimento nell’anima degli sfollati, dovuto anche al disorientamento dei servizi sul territorio e allo scenario di distruzione che li circonda». Alessia Donati fa parte dell’equipe Caritas che cura le visite domiciliari; la difficoltà più grande per gli aquilani, dice, è riadattarsi al nuovo. E per molti il nuovo significa essere capofamiglia disoccupato. «C’è un aumento di stati d’animo di ansia, solitudine – spiega – la gente ha un profondo bisogno di conforto, di trovare rocce a cui aggrapparsi. Per gli anziani negli alberghi è tutto più difficile, perché si sentono dimenticati». La preghiera e la fede fanno tanto, aggiunge, ma in molti si sta cronicizzando la tendenza a «normalizzare comportamenti non comuni, come dormire con il necessario per scappare in caso di terremoto». Non è lamento fine a stesso, ma un’emergenza silenziosa, precisa Angelo Bianchi, responsabile del centro di ascolto diocesano, che ha visto più che raddoppiare le richieste di aiuto nel post sisma. «Ogni settimana arrivano circa 40 nuove persone a domandare beni materiali, ma soprattutto conforto, siamo in una fase complicata per la rinascita – precisa – negli incontri parrocchiali la gente ci chiede di stare insieme, di ascoltarli e nei loro volti vediamo tutta la disperazione di chi fatica a ritrovare un equilibrio interiore».
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