domenica 11 aprile 2021
Nel Milanese oltre 100 persone lavorano a tempo pieno per smistare scarti di vestiti che negli ultimi 20 anni hanno aiutato 7mila persone
I cassonetti gialli e i mezzi della Coperativa Vesti Solidale, di Caritas Ambrosiana, tra i capannoni di Cinisello Balsamo al confine con Monza

I cassonetti gialli e i mezzi della Coperativa Vesti Solidale, di Caritas Ambrosiana, tra i capannoni di Cinisello Balsamo al confine con Monza - .

COMMENTA E CONDIVIDI

Un settore alla vigilia di una rivoluzione, fiaccato dalle conseguenze sociali della pandemia. Dal primo gennaio 2022 in Italia sarà obbligatoria la raccolta dei rifiuti tessili e prevedibilmente aumenterà la quantità raccolta, attualmente di circa 150 milioni di tonnellate l’anno, diminuita in media di un decimo nel 2020. Oggi in Italia si raccolgono meno di 3 kg per abitante contro i 5 per abitante della Francia e gli 8 della Germania. L’aumento quantitativo porterà a una diminuzione della qualità e del prezzo, ma farà crescere il giro d’affari, stimato in circa 200 milioni di euro. Da qui i sospetti, mai provati, e i timori di infiltrazione mafiosa come in altri settori produttivi. Nonostante ciò, alcune realtà ecclesiali hanno promosso cooperative sociali di raccoglitori di abiti usati per generare occupazione nelle fasce colpite da povertà e disoccupazione e sostegno ai progetti sociali. La Caritas italiana, in un’audizione parlamentare qualche anno fa, ha chiesto l’intervento pubblico per garantire maggiore trasparenza alla filiera e ha consigliato le Caritas diocesane di chiedere all’acquirente l’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali, di utilizzare mezzi autorizzati al trasporto dei rifiuti tessili e il conferimento a impianti autorizzati allo stoccaggiotrattamento e igienizzazione dei rifiuti tessili prima della commercializzazione dei tessuti. Resta il problema dell’export in paesi in via di sviluppo, dove l’usato a marchio occidentale frena la nascita di un’industria tessile locale,e dello smaltimento nelle discariche al Sud di quello che non è recuperabile. La via d’uscita, percorsa dalle esperienze che raccontiamo, può essere la creazione di impianti di smaltimento autonomi e reti di commercio equo.

Zona rossa o no, Ousman timbra tutte le mattine alle otto al centro di smistamento di Vesti solidale, tra i capannoni di Cinisello Balsamo al confine con Monza. A volte esce con i camion di Vesti solidale a svuotare i cassonetti gialli in strada a marchio Caritas Ambrosiana, oppure resta in magazzino a smistare abiti. Ha 28 anni, è un richiedente asilo arrivato in Italia via Libia dal Gambia dove ha lasciato moglie e quattro figli. Con lo stipendio mantiene se stesso e la famiglia in Africa. «Ho dovuto lasciare il mio paese per motivi politici – racconta – sono arrivato in Libia nel 2016 dove sono stato sfruttato per pagarmi il viaggio per l’Italia. Nel 2018 sono riuscito a partire. La barca era strapiena, ci ha visto una nave di pescatori che ha chiamato una nave militare italiana. Sono stato in Sicilia, poi in un centro di accoglienza a Milano».

Qui Ousman si impegna come volontario a pulire le strade cittadine. Poi arriva alla Vesti solidale, coop del 'Consorzio Farsi prossimo' promossa dal 1997 dalla Caritas Ambrosiana. Con gli anni, insieme alle diocesi di Bergamo e Brescia è nata la Rete Riuse, composta dal consorzio e da 9 cooperative sociali per la raccolta dei rifiuti tessili da 2500 cassonetti collocati in posizioni autorizzate dagli enti pubblici sul territorio delle diocesi di Milano, Bergamo e Brescia. Garantisce lavoro stabile a 100 persone di cui 32 in svantaggio certificato e altre 36 appartenenti a fasce deboli. Stranieri e italiani come Salvatore, 55 anni, di origini calabresi, arrivato a Milano per fare il muratore. Alle spalle, un divorzio e sette anni di galera. Grazie ai volontari, ha iniziato un percorso in carcere finito con un tirocinio alla 'Vesti solidale'. «Sono autista oppure svuoto i cassonetti – spiega – così ho iniziato una nuo- va vita. Alla mia età è difficile trovare lavoro, specie se sei un ex detenuto».

La crisi ha colpito duro anche questo settore, chiusure e restrizioni, impoverimento e smart working hanno ridotto acquisti e scarti di abiti. Ma la raccolta non si è interrotta, né la piena occupazione dei lavoratori. «Il materiale raccolto è calato dell’11% – spiega Matteo Lovatti, presidente di Vesti Solidale - e i nostri ricavi del 26%. I costi per la raccolta per le nuove regole imposte dalla pandemia sono aumen-tati, eppure la Rete ha voluto destinare 182.000 euro a progetti solidali» Il settore è delicato per molti aspetti. Che fine fanno gli abiti usati nel cassonetto giallo? «Si raccolgono circa 40 milioni di capi in Italia, darli direttamente ai poveri è impossibile – chiarisce Carmine Guanci, responsabile di Riuse – per legge solo i cassonetti in parrocchia sono adibiti alla raccolta di capi da donare, quanto dato in strada è un rifiuto tessile ».

Ogni anno si raccolgono circa 40 milioni di capi in Italia. Dal punto di vista ambientale la rete recupera oltre 12.000 tonnellate di rifiuti tessili, risparmiandone 42.000 di emissioni

Ogni anno si raccolgono circa 40 milioni di capi in Italia. Dal punto di vista ambientale la rete recupera oltre 12.000 tonnellate di rifiuti tessili, risparmiandone 42.000 di emissioni - .

Ma, coperti i costi, la Rete sostiene con i proventi del proprio lavoro il progetto Dona Valore in collaborazione con le Caritas diocesane. Dal 1998 al 2020 dai cassonetti sono arrivati oltre quattro milioni per 182 progetti sociali aiutando 7.000 persone in comunità e case di accoglienza, servizi di assistenza al disagio psichico, minori, anziani, famiglie in difficoltà, stranieri e disoccupati. Dal punto di vista ambientale ogni anno la rete recupera oltre 12.000 tonnellate di rifiuti tessili, risparmiandone 42.000 di emissioni di anidride carbonica e 70 miliardi di litri di acqua. Uno studio della società Sigmanl dell’Università di Genova ha calcolato che ogni euro investito nelle attività della Rete ne genera 2,58 come ricaduta sociale ed ambientale. Ma l’obiezione più forte è il sospetto, non avvalorato da sentenze o prove, che la filiera sia infiltrata da mafia e camorra. «Le mafie provano a infiltrarsi ovunque. Ma a garanzia di cittadini ed enti – replica Guanci – ci sottoponiamo a controlli di enti terzi. Il Forum Ethibel, organizzazione belga, ci ha rilasciato il marchio Solid’r per imprese operanti con i criteri dell’economia sociale e solidale riconosciuti dalla Ue. E le nostre coop sono iscritte alla white list in prefettura che attestano l’estraneità a infiltrazioni malavitose».

E gli acquirenti degli abiti raccolti dalla rete Caritas? «Hanno tutte le autorizzazioni previste da norme nazionali e internazionali. Inoltre le coop chiedono ai clienti commerciali autocertificazione antimafia, certificato carichi pendenti, certificazione camerale e iscrizione a lista bianca prefettizia». Dal primo gennaio ’22 in Italia la raccolta differenziata del tessile sarà obbligatoria in base alle direttive Ue sull’economia circolare. «Abbiamo investito oltre 4 milioni – conclude Guanci – per realizzare un impianto di selezione e igienizzazione degli indumenti usati a Rho che, gestito da coop sociali, ci farà chiudere in casa la filiera alimentando i negozi Share e il commercio equo con l’Africa». Dopo il Covid, Riuse riparte più forte grazie a etica, solidarietà e trasparenza garantite dal marchio Caritas sui cassonetti gialli.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: