martedì 27 ottobre 2009
Ancora tensioni nella maggioranza. Ad Arcore il vertice dei coordinatori Pdl dice no a promozioni. Berlusconi: basta freni sui tagli alle tasse o il ministro lo capisce o quella è la porta. Il Cavaliere vuole rompere l’asse del ministro con il Carroccio: «Dico Giorgetti e vediamo la Lega che fa...».
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«Ma quale vicepremier! Se Giulio insiste con questa richiesta folle offro a Giancarlo Giorgetti il ministero dell’Economia... E poi voglio davvero vedere la Lega che cosa fa...». Silvio Berlusconi scandisce quel nome. Poi, come se volesse dare forza a quella che sembra a tutti una boutade, va avanti: «Ho detto Giorgetti, uno dei parlamentari più in gamba del Carroccio, uno che si è laureato in economia alla Bocconi...». Chi siede davanti al premier capisce e, pretendendo garanzie certe sull’anonimato, confessa: «La misura è colma e Tremonti non sarà mai vicepremier... Se poi dovesse insistere con le minacce Berlusconi ha pronti più piani alternativi...». Non esiste la carta Mario Draghi, oggi al comando di Bankitalia. Non esiste, almeno a sentire il diretto interessato, una carta Renato Brunetta. «Io sono disposto a spostarmi solo all’Università e a riprendere a fare il professore», taglia corto il ministro della Pubblica amministrazione. E forse la verità è che non esiste un candidato vero per un’improbabile successione all’Economia perché tutti, a cominciare dal premier, scommettono su una resa imminente del ministro. Ma se Tremonti dovesse insistere e la Lega continuasse a sostenerlo sarebbe il momento di rispondere con la stessa moneta. C’è la carta Giorgetti. Ma c’è anche una seconda ipotesi che servirebbe al Cavaliere per «far tornare la ragione» al ministro dell’Economia: in cambio della testa di Tremonti e di un via libera al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, Berlusconi sarebbe pronto a dare alla Lega due Regioni del Nord. Magari anche la Lombardia.È davvero una partita complicata, dall’epilogo ancora non chiaro. Dove, ora dopo ora, il fastidio del governo verso Tremonti è sempre più evidente e un’immagine "rubata" dal penultimo vertice dell’esecutivo aiuta a capire. Maria Vittoria Brambilla continua a chiedere fondi per rilanciare il turismo; Tremonti sempre più seccato all’improvviso si alza e improvvisa una richiesta di elemosina passando da un ministro all’altro. Il messaggio è chiaro: quella del rigore è l’unica linea possibile e allora non chiedetemi soldi perché io non posso darveli. Eppure non è così. O almeno Berlusconi e lo stato maggiore del Pdl non la pensano così e il messaggio che emerge dopo un vertice di duecento minuti ad Arcore tra il premier (bloccato in casa da una lieve forma di scarlattina) e i tre coordinatori del Pdl (Bondi, Verdini e La Russa) suona come un ultimatum al ministro dell’Economia: sì al rigore, ma insieme allo sviluppo e al rispetto del programma elettorale. Nelle conversazioni più private Berlusconi ripete questo concetto mettendo da parte inutili cautele: «Abbiamo preso degli impegni con gli elettori. Abbiamo parlato di riduzione delle tasse, di tagli all’Irap... Basta freni, è arrivato il momento di agire subito per lo sviluppo e o Giulio lo capisce o è quella la porta». È un monologo "segnato" dai toni duri, a tratti ultimativi. «Giulio non può più pensare di avere deleghe in bianco; le scelte economiche vengono decise da partito e governo e lui deve trovare il modo di renderle possibili».È questa la linea del Cavaliere. Ed è questa la linea del Pdl. E se Tremonti frena? Se minaccia ripetendo: o mani libere sull’Economia o me ne vado? Se continua a pretendere la vicepresidenza? Maurizio Gasparri, il presidente dei senatori del Pdl, non nasconde un certo fastidio e sbotta: «Giulio alla fine è come se guidasse quattro ministeri: oggi c’è l’Economia, ma ieri c’erano Tesoro, Finanze, Partecipazioni Statali e Bilancio... E allora vorrei che si discutesse, che ci si confrontasse e soprattutto che si evitassero ultimatum». L’insofferenza cresce mentre qualcuno ricorda che Gianfranco Fini aveva visto bene quando chiedeva collegialità sulle scelte economiche e invitava a mettere un freno allo strapotere della Lega. E mentre Farefuturo, la fondazione vicina al presidente della Camera ricorda che c’è chi non si rassegna a «morire leghista», anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, uno di quelli più comprensivi verso Tremonti avverte: «Non c’è alcuna ragione perché Giulio sia vicepremier». Un passo indietro all’ultimo consiglio dei ministri. Da un capannello esce il Grande Interrogativo: se Tremonti lascia ce lo troviamo a piede libero... Brunetta è lapidario: «Tranquilli dopo due settimane se lo sono dimenticati tutti».
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