sabato 10 dicembre 2022
Un anno dopo l’esplosione causata da una fuga di gas, il centro storico del paese resta deserto. Gli sfollati chiedono di poter rientrare nelle abitazioni, ma il sindaco si oppone
A Ravanusa, la città fantasma divisa sulle case da demolire
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L’odore del bucato steso, ad un centinaio di metri lontano segna la vita. Bisogna attraversare vie, vicoli e cortili distanti per ritrovare la normalità nella zona di via Trilussa, a Ravanusa, dopo il disastro dell’11 dicembre scorso. Perché nel quadrilatero della morte, dove un anno fa l’esplosione causata da una fuga di gas metano fece tremare 10 mila metri quadrati intorno e seminò morte e terrore, sono rimasti in pochi, pochissimi. Una decina di famiglie nella polvere e nella solitudine.

Oggi è un quartiere fantasma che custodisce ancora evidenti le ferite di un disastro e trascina con sé il peso di 9 vittime estratte sotto le macerie. Tra loro anche una donna che di lì a poco avrebbe dovuto dare alla luce il suo bambino. Erano le 20.30 dell’11 dicembre quando un violento boato squarciò il silenzio della città agrigentina. Qualche mese dopo le indagini chiariranno l’origine dell’esplosione: una fuoriuscita di gas causata da saldatura della rete ceduta. I lavori di messa in sicurezza, rimozione macerie e demolizione degli stabili interessati dall’esplosione «sono iniziati poco più di un mese fa» racconta Carmela. Dal piano terra della sua abitazione, tra decine rimaste vuote, indica l’epicentro del disastro.

È una strada oggi inesistente e irriconoscibile, poco meno di cento metri avanti, transennata. Secondo i cartelli di cantiere, i lavori dovrebbero concludersi il 31 dicembre di quest’anno e sarebbero dovuti iniziare il 4 luglio scorso. «Falso – prosegue lei –, le ruspe e gli escavatori sono entrati in azione da poco. Sì, gli operai sono tanti ma anche il lavoro e finora dentro la zona rossa si sono visti tanti tecnici e fatti tanti sopralluoghi e rilievi ». «Sono stati sostituiti i contatori dei gas – si intromette Giuseppe –. Fino a due mesi fa i tecnici periodicamente effettuavano i controlli, ora non si vede più nessuno».

«Entro gennaio le ultime migliaia di metri cubi di detriti saranno portate via» annuncia il sindaco Carmelo D’Angelo addebitando il ritardo al cronoprogramma dei lavori alla burocrazia. Le famiglie che abitavano il quartiere, 48 in tutte, sono state tutte delocalizzate in diversi rioni di Ravanusa. Per alcune di loro il Comune paga un affitto di 350 euro mensili. Altre hanno lasciato la città, alcune vivono ancora da parenti o nelle case al mare. In 9 chiedono di rientrare nelle proprie abitazioni «ma nessun tecnico è disposto rilasciare il certificato di agibilità, a mettere nero su bianco quanto loro sostengono, cioè che le case possono tornare ad essere abitate» continua il primo cittadino.

«Qui c’era il mio laboratorio» dice Alberto indicando una saracinesca esplosa e sbarrata. Con Romina, sua moglie, e la loro piccola Nicole sono venuti a spiare l’area che delimita la zona impenetrabile da quella accessibile. Lo scenario è desolante. Le imposte sventrate, i tetti crollati, le grosse crepe aperte sui muri. E i segni dell’abbandono, nel tempo. «Non è cambiato nulla ancora, ci dicono che demoliranno le nostre case - constata ancora – e non possiamo che prendere atto di questa scelta. All’esterno appaiono tutto sommato in buono stato, in realtà dentro è come se fossero vuote».

«Demolire è la soluzione più semplice, perché invece non si ripetono le perizie e si tenta di capire se effettivamente c’è ancora anche solo una possibilità di salvare qualche appartamento?». Se lo chiede Franco. Lui è rientrato nella sua casa, ma alla figlia che risiedeva nella palazzina accanto l’accesso è stato negato. Per lei, medico in servizio a Caltanissetta, e le sue due figlie, il Comune ha affittato una casa in periferia. «Questa zona è ad alto rischio idrogeologico – ricorda il sindaco – e accettare che la propria casa venga demolita, affidandosi a quello che dicono i tecnici, è una scelta saggia e coraggiosa ». Per D’Angelo, sindaco per altri sei mesi, «non ci sono richieste non soddisfatte» per i cittadini che hanno subito danni. «Abbiamo speso e documentato tutti i soldi che ci sono arrivati dalla Regione, dallo Stato e dalla Caritas compresi i 354 mila euro che il ministero della Pubblica Istruzione ha destinato al comprensivo Manzoni, anche quello in parte interessato dai danni».

Nei giorni scorsi, proprio in occasione dell’anniversario della strage, la dirigente Marilena Giglia ha consegnato in dono alla Chiesa Madre la scultura “Innatus”, realizzata con materiali recuperati dalle macerie e benedetta da Papa Francesco: «Un’opera che esprime il desiderio di speranza e di rinascita in una scultura che oltrepassa il confine del ricordo e della memoria affidando, al bambino un messaggio di resurrezione che fonda le basi sulla coscienza e sulla cultura» commenta la preside. Domani alle 18.30 l’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano celebrerà una messa in suffragio delle vittime in Chiesa Madre. In mattinata anche una marcia del silenzio in ricordo delle vittime e la deposizione di una corona di fiori tra le macerie. Che sono ancora lì, come un anno fa.

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