giovedì 9 maggio 2019
È da dieci giorni in sciopero della fame, dove fu ucciso don Puglisi, per protestare contro l’espulsione di Paul, un ghanese da 15 anni in Italia che ha perso il lavoro
Fratel Biagio in catene per i migranti

Fratel Biagio in catene per i migranti

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Spezzare le catene delle ingiustizie e della disumanizzazione. Un appello forte, quello che si leva dalla piazzetta in cui fu ucciso don Pino Puglisi a Palermo, per bocca di un uomo che ha fatto della povertà il suo vestito e la sua vita, che da dieci giorni digiuna per chiedere accoglienza per i migranti e la revoca di un decreto di espulsione per Paul, uno dei “fratelli” ospite in missione da dieci anni.

Paul da 15 anni in Italia ha vissuto in missione dove ha fatto l’idraulico, dedicandosi anche lui con spirito di servizio alle famiglie povere della città. In passato aveva il permesso di soggiorno lavorativo ma per motivi di salute ha perso il lavoro ed è stato accolto in missione. Dopo 10 anni in Missione Speranza e Carità, ora l’uomo ghanese di 51 anni, rischia l’espulsione dall’Italia.

Biagio Conte, il laico fondatore della missione Speranza e Carità con oltre mille senzatetto, da ieri si è incatenato le caviglie, rese magre dalle migliaia di chilometri percorse in pellegrinaggio per l’Europa e il Marocco e dal digiuno. Si nutre solo dell’Eucaristia, che viene celebrata ai piedi della statua del beato Puglisi e della solidarietà di centinaia di persone che raggiungono questo luogo di penitenza e di preghiera. Ha inviato lettere e appelli a tutti i cittadini, alle istituzioni, al presidente della Repubblica, un messaggio di solidarietà per i continui attacchi a papa Francesco che lo scorso 15 settembre pranzò proprio nella missione degli “ultimi”.

Ieri un pensiero all’Africa, da cui vengono «i nuovi profughi». «Adesso, dopo anni, a tanti fratelli che stavano ricostruendo la loro vita si rischia di togliere la speranza, con metodi (leggi) ingiusti che oggi ci riportano ad una nuova schiavitù, ad una nuova tratta – afferma –. Li stiamo giudicando, annientando e condannandoli a rientrare forzatamente nei loro paesi. Con quale rischio? Un ritorno fortemente negativo e ingiusto. Ma abbiamo capito che l’Africa è il futuro e la nostra speranza? Attendiamo che si spezzino le catene mettendo così fine alle ingiustizie. Questo appello non è per una parte politica o per un’altra, ma per tutta l’umanità».

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