mercoledì 7 febbraio 2018
«È la fine del mondo». Il 12 dicembre, alle 16.37, il tempo si ferma nel salone devastato della Banca dell’Agricoltura, a Milano
Il salone devastato della Banca nazionale dell'Agricoltura (Archivio Ansa)

Il salone devastato della Banca nazionale dell'Agricoltura (Archivio Ansa)

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Continua il viaggio lungo 50 anni della nostra storia. È la storia di «Avvenire», che taglierà il traguardo il prossimo 4 dicembre, e insieme del mondo che su queste pagine è stato raccontato a partire da un punto di vista originale e inconfondibile. È l’impegno che consegnò come una missione il beato Paolo VI quando volle la nascita di un quotidiano nazionale di tutti i cattolici italiani, punto di incontro vivo tra le loro molteplici voci e insieme luogo di dialogo con le diverse anime della società.

Una cronaca asciutta, crudele, perfino troppo esplicita per le nostre abitudini di mezzo secolo dopo. Maurizio Acquarone descrive così, sulla prima pagina del 13 dicembre 1969, il salone devastato della Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano: «Il caos. La fine del mondo. Il buio dentro il buio. Credete, era questo, non si ruba un grammo al vero». Ha sentito i testimoni, Acquarone. E decide di non censurare le loro crude parole: «A chi è entrato per primo nei saloni dell’istituto di credito lo spettacolo è parso quello di un indescrivibile inferno: i muri erano coperti di sangue, di frammenti di ossa, di pelle, di materia cerebrale».

Come in un film horror. Allora nessuno poteva immaginare, forse nemmeno temere, che la bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, ore 16.37, sarebbe divenuta il primo capitolo della terribile stagione delle stragi: treno Italicus, piazza della Loggia a Brescia, Stazione di Bologna sono solo i capitoli più tragici. Nessuno ancora la chiamò con il nome che le avrebbero attribuito in seguito, la «madre di tutte le stragi».

In quei primi momenti, Avvenire registra l’orrore, lo sgomento, il dolore. Singolare coincidenza, e terribile contrasto, proprio quel giorno viene pubblicato il Messaggio del Papa per la Giornata della pace. Sopra e accanto alle immagini e alle parole della strage, Paolo VI ricorda: «La coscienza dell’umanità non tollera più violenza, sopraffazione, terrorismo». E ancora: «Noi insistiamo: la pace è la vita reale del quadro ideale del mondo umano».

La parole di pace risuonano accanto ai nomi del primo elenco di vittime (saranno 17: 13 sul colpo, l’ultima addirittura dopo un anno). Il cardinale Colombo arriva dal vicinissimo Arcivescovado, si inginocchia, benedice. Un funzionario, Carlo Masanzani, 47 anni, mormora: «Ho fatto tre anni di guerra, ma non avevo mai sentito nulla del genere». Il boato provocato dai 7 chili di esplosivo si è sentito fino alla periferia della città.

Un’altra bomba viene trovata alla Banca Commerciale di piazza della Scala. Tre ordigni esplodono a Roma, provocando 16 feriti. Sui responsabili, in quelle prime ore, pare non ci siano dubbi: sono gli anarchici di Roma e di Milano. Eppure Acquarone, il 14 dicembre, annota: «Secondo i funzionari dell’ufficio politico, dietro questi attentati terroristici esiste una organizzazione estremamente potente, che potrebbe avere diramazioni anche all’estero».

Davvero gli anarchici sono tanto potenti e diramati? Il 17 dicembre, quando il tassista Cornelio Rolandi accusa Pietro Valpreda, Avvenire scrive: «Sembra fatta: sono scoperti i criminali». Sembra... Eppure in quei giorni, macchiati dal nuovo lutto per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della Questura di Milano al terzo giorno di interrogatori, la pista anarchica pare quella giusta. Pazienza se alcuni, anche autorevoli osservatori come Indro Montanelli, tendono a escludere che i colpevoli siano gli anarchici. Nessuno comunque osa immaginare che la vicenda giudiziaria, che allora appariva relativamente semplice, si sarebbe chiusa ben 36 anni dopo.

Gli anni successivi sono un accavallarsi di fatti, anche tragici; di nuovi imputati; di processi; di assoluzioni (perlopiù per insufficienza di prove), con una vera condanna soltanto nel 2005. Della morte di Pinelli sono accusati il commissario Luigi Calabresi e altri poliziotti. Non importa che l’inchiesta di Gerardo D’Ambrosio accerti che Calabresi non era nella stanza al momento della tragedia, e probabilmente Pinelli ebbe un malore mentre si sporgeva dalla finestra. Calabresi viene messo alla pubblica gogna. Il 27 giugno 1971 un atto d’accusa pubblicato dall’Espresso raccoglie ben 700 firme di politici, giornalisti e intellettuali. Lotta Continua addita il commissario come primo colpevole, un assassino. E orrore, ma non vera sorpresa, susciterà il suo omicidio il 17 maggio 1972. Sangue chiama sangue. Molti anni dopo, per l’assassinio di Calabresi saranno condannati alcuni esponenti di Lotta Continua.

E Piazza Fontana? Caduta, ma non del tutto, la pista anarchica, si indaga negli ambienti della destra neofascista e dei servizi segreti a lei limitrofi. Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini sono assolti per insufficienza di prove. E "innocenti" resteranno per sempre, per la legge, anche dopo che nel 2005 la Corte di Cassazione dichiarerà colpevole Ordine nuovo. L’esecutore materiale? Agli atti rimane il nome di Delfo Zorzi, emigrato in Giappone dove è divenuto un imprenditore di successo, con Stefano Delle Chiaie e Massimiliano Fachini.

Ma il tempo, intanto, ha diluito tutto. La stagione delle stragi è terminata, senza che la nebbia in cui si era consumata sia stata del tutto dissolta. Quella nebbia in cui ancora risuonano quelle parole di Paolo VI: «La coscienza dell’umanità non tollera più...».


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