La salute mentale è un tabù? No, i ragazzi ora vogliono parlarne
Nella Giornata mondiale dedicata al tema, Progetto Itaca racconta come si può affrontare il disagio giovanile crescente, a partire dagli incontri nelle scuole

Non hanno più paura di parlare del disagio mentale, non temono le domande scomode, sono più consapevoli sul tema rispetto alle generazioni precedenti e curiosi verso quello che non sanno ancora: si potrebbe riassumere così la descrizione dei giovani che viene fuori dalle parole di chi ha maturato l’esperienza sulla salute mentale direttamente sul campo come Cristina Migliorero e Felicia Giagnotti, entrambe di Progetto Itaca, fondazione che promuove programmi di informazione e prevenzione nelle scuole, ma anche di supporto e riabilitazione per persone con disturbi più o meno gravi e per le loro famiglie. Ad Avvenire – in vista della Giornata mondiale della salute mentale che si celebra oggi – hanno raccontato quali sono le domande che vengono dai ragazzi, le difficoltà più diffuse che sono emerse dagli oltre 15mila studenti incontrati solo nell’ultimo anno scolastico in 135 istituti di tutta Italia e come la prevenzione si sta evolvendo con il coinvolgimento sempre più sentito anche dagli adulti.
«Con il supporto volontario di oltre cento professionisti, tra psichiatri e psicoterapeuti, anche l’anno scorso siamo entrati nelle classi terze delle superiori con il progetto “Prevenzione nelle Scuole”, così come faremo quest’anno. Si tratta di uno dei tanti interventi di formazione e informazione che facciamo. Questa iniziativa nelle classi è particolarmente importante perché ci permette di rivolgerci ai ragazzi proprio nella fascia d’età in cui possono insorgere i primi sintomi di un disturbo della salute mentale e aiutarli dunque a riconoscerli e distinguerli dai disagi tipici dell’adolescenza», spiega Migliorero, referente nazionale del progetto di prevenzione nelle scuole di Itaca.
L’incremento del disagio psichico tra le generazioni più giovani emerge chiaramente anche nei dati. Già nel 2022 il rapporto Ocse “Health at a glance” segnalava che dopo la pandemia nei Paesi europei la percentuale di giovani con sintomi di ansia e depressione era più che raddoppiata. Parallelamente, raccontano però da Progetto Itaca, anche la domanda di conoscenza, spiegazioni e strumenti da parte dei giovani è aumentata. «Quando rispondono ai nostri questionari si capisce che il tabù della malattia mentale è superato, ma nonostante siano più preparati dei giovani di una volta, la maggior parte di loro non riconosce ancora tutti i fattori di rischio, per esempio quello della dipendenza da social e smartphone o i problemi che possono insorgere quando si dorme poco o ancora il rischio di sviluppare malattie mentali legato all’uso di cannabis in situazioni di fragilità», aggiunge. Quando hanno la possibilità di parlare con gli esperti, i temi dominanti sono quelli che molti di loro sperimentano nella quotidianità, come ansia e attacchi di panico, ma una volta sollecitati non mancano domande sugli effetti degli stupefacenti, su come regolare il sonno o la relazione con gli schermi.
«Su questo cercano un’educazione all’uso – dice Migliorero –, che in effetti manca del tutto». Rivolgersi tempestivamente agli specialisti quando insorge un disagio più o meno grave è importante, ma per questo serve anche il coinvolgimento degli adulti della rete intorno ai ragazzi: una variabile che resta ambivalente. «Da un lato i genitori e gli insegnanti cominciano a farsi carico del problema. Per esempio, negli incontri che abbiamo introdotto nelle scuole lombarde per madri, padri e insegnanti l’anno scorso abbiamo raggiunto 425 genitori e 80 docenti, un numero crescente rispetto agli anni precedenti. Dall’altro tra i più grandi permangono paure e reticenze, la vergogna, lo stigma», conclude Migliorero.
«Si parla di più di disagio mentale pubblicamente, c’è maggiore consapevolezza è vero – ribadisce poi Felicia Giagnotti, presidente di Fondazione Progetto Itaca –, ma per rispondere alla richiesta di aiuto dei ragazzi serve che questa si traduca poi in decisioni concrete, maggiori risorse e servizi territoriali». L’augurio della presidente è dunque che nella Giornata dedicata al tema quest’anno vengano accesi i riflettori su tutte le difficoltà che le persone con disagi psichici e le loro famiglie devono affrontare e che vengano finalmente superati: «C’è per esempio un progetto di legge per riconoscere il lavoro del caregiver con un corretto sostegno economico. Mi sembra urgente occuparsene, ma l’iter è ancora lungo. Bisogna aiutare i famigliari a non dover scegliere tra cura del parente con disturbo mentale e lavoro, ma anche superare questioni strutturali, come il fatto che chi sta male magari deve aspettare anche 15 giorni per essere ricevuto da una struttura e che una volta superata la crisi gli incontri con gli specialisti rischiano di dilatarsi troppo nel tempo».
Con l’ambizione di contribuire al processo di sensibilizzazione su questi temi e al superamento dello stigma sulla malattia psichica, il mese di ottobre rappresenta quindi un periodo particolarmente significativo per la Fondazione, che si impegna a promuovere e organizzare numerose iniziative: «Tra ieri e oggi l’iniziativa “Accendere la luce sulla Salute Mentale” sta illuminando di verde monumenti e piazze in 17 città italiane. Questo weekend torna poi “Tutti Matti per il Riso”, evento nazionale di raccolta fondi, e lunedì parte una campagna Rai realizzata con gli studenti dell’Università Iulm, che proverà a narrare il disagio psicologico con ironia e dando speranza, attraverso la voce diretta dei più giovani». Sono tutte iniziative, sintetizza Giagnotti, che puntano a «mobilitare la collettività su un tema che riguarda tutti», così che la tutela della salute mentale diventi una priorità anche negli stanziamenti.
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