Esami e test diagnostici, è boom della sanità privata “pura”
di Redazione
La Fondazione Gimbe: le liste di attesa incidono ormai anche nelle strutture accreditate, e così quelle prive di rimborsi fanno registrare un +137%

Ormai gli italiani che si mettono in fila per prenotare una Tac o un test diagnostico in regime di servizio sanitario pubblico, sono sempre più delle mosche bianche. Persone che non hanno la possibilità di ottenere esami a pagamento. Chi può pagare, invece, non ha dubbi: una telefonata al centralino e in pochi giorni la visita o l'esame di cui si aveva bisogno è fatta; con buona pace della sanità pubblica e delle liste d'attesa. Così un numero crescente di italiani sceglie di mettere mano al portafoglio e rivolgersi ai centri privati. Non solo a quelle convenzionate, ma sempre più spesso a quelle non convenzionate che erogano prestazioni esclusivamente in regime privato, senza alcun rimborso a carico del pubblico. Tra il 2016 e il 2023 la spesa delle famiglie verso strutture di questo tipo è più che raddoppiata (+137%), passando da 3,05 miliardi a 7,23 miliardi. È il trend che emerge da un'analisi realizzata da Fondazione Gimbe e presentata al 20esimo Forum Risk Management di Arezzo.
«Non trovando risposte tempestive nel pubblico né nel privato accreditato, chi può pagare cerca altrove ed esce definitivamente dal perimetro delle tutele pubbliche», afferma il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta. «Non serve cercare un piano occulto di smantellamento del Servizio sanitario nazionale: basta leggere i numeri per capire che la privatizzazione della sanità pubblica è già una triste realtà», aggiunge. L'aumento di peso del privato puro - strutture sanitarie, prevalentemente di diagnostica ambulatoriale - è solo uno dei fenomeni identificato dal report. Tra i macro-fenomeni, spicca lo spostamento verso i cittadini di una quota sempre maggiore della spesa sanitaria, che nel 2024 ha toccato i 41,3 miliardi di euro, pari al 22,3% della spesa sanitaria totale; era pari a 32,4 miliardi del 2012.
«Con quasi 1 euro su 4 di spesa sanitaria sborsato dalle famiglie, oggi siamo sostanzialmente di fronte a un servizio sanitario “misto”, senza che nessun Governo lo abbia mai esplicitamente previsto o tantomeno dichiarato», aggiunge Cartabellotta. Oltre ai 7,2 miliardi al privato “puro”, queste risorse vanno per 12,1 miliardi alle farmacie per l'acquisto di farmaci e altri prodotti o servizi, 10,6 miliardi a professionisti sanitari (di cui 5,8 miliardi a odontoiatri), 7,6 miliardi alle strutture private accreditate e 2,2 miliardi alle strutture pubbliche per l'intramoenia e altro. Dal canto suo, il privato accreditato è ormai diventato la spina dorsale di interi settori: rappresenta l'85,1% della sanità residenziale, il 78,4% di quella riabilitativa, il 72,8% della semi-residenziale, il 59,7% della specialistica ambulatoriale. Dall'analisi, luce anche sui “terzi paganti”: fondi sanitari, casse mutue, compagnie assicurative, imprese, enti del Terzo settore e altre realtà non profit. Nel 2024, la spesa sostenuta da questi attori ha raggiunto 6,36 miliardi, con un incremento di oltre 2 miliardi nel triennio post-pandemia.
«Numeri inquietanti» li definisce Ilenia Malavasi, deputata Pd della commissione Affari sociali, per la quale «la sanità pubblica sta scomparendo sotto i colpi della privatizzazione selvaggia, favorita dall'attuale governo». Malavasi annuncia di aver depositato, con i colleghi del gruppo Pd della commissione, un'interrogazione parlamentare, visto che la crescita del privato «è il segno di un sistema sanitario che, invece di essere al servizio di tutti, sta diventando sempre più inaccessibile per chi non ha le risorse per pagare. È inaccettabile che milioni di italiani, tra cui tanti pensionati e famiglie in difficoltà, debbano fare affidamento sulla sanità privata per ricevere cure che dovrebbero essere garantite dallo Stato».
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