Una legge in Sardegna? «No, pensiamo a curare»

La Regione che soffre di una disponibilità insufficiente di cure palliative, reti sanitarie territoriali e assistenza domiciliare pensa a procedure di morte volontaria. Ma molti non ci stanno
August 6, 2025
Una legge in Sardegna? «No, pensiamo a curare»
Imagoeconomica |
Mentre interi territori della Sardegna fanno i conti con la carenza di medici di base, liste d’attesa interminabili, servizi domiciliari precari e cure palliative pressoché assenti, l’agenda politica regionale accelera su una legge per regolamentare il suicidio medicalmente assistito. Un paradosso che inquieta: si normano le condizioni per morire, mentre restano in larga parte inevase quelle per garantire una vita dignitosa. La Sardegna potrebbe diventare la seconda Regione, dopo la Toscana, ad approvare una legge. Il testo, già approvato dalla Commissione Sanità del Consiglio regionale e che approderà in Aula in autunno, disciplina tempi e procedure per accedere a questa pratica.
Ma secondo la Società italiana dei medici di medicina generale (Simg) in Sardegna mancano oltre 500 medici di famiglia. Le liste d’attesa per visite specialistiche e diagnostica spingono molti a rivolgersi al privato o a rinunciare alle cure. Introdurre una norma senza prima aver garantito il pieno accesso alle cure palliative rischia di essere una scelta ideologica. Lo sottolinea anche monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei (che era già intervenuto sui temi del fine vita): «La legge di bilancio del 2022 prevedeva l’obiettivo del 90% di copertura per i malati terminali. In Trentino è oltre il 70% mentre in Sardegna non raggiunge il 5%. Manca un piano territoriale per gli hospice. C’è tanto da fare per sostenere un paziente terminale». Secondo Maria Cristina Deidda, oncologa palliativista e referente del Centro di cure palliative del San Giovanni di Dio di Cagliari, «è essenziale ridurre la sofferenza fisica, in primis, ma anche sostenere il paziente nel trovare un nuovo senso del sé. Servono supporto ai caregiver e terapie complementari ». Il consigliere regionale Lorenzo Cozzolino, medico, è contro la legge: «Devo salvare le vite e non toglierle, la vita va difesa sino alla fine».
Per Stefano Mele, docente di Bioetica alla Pontificia Facoltà teologica della Sardegna, «essere concretamente solidali significa restituire a chi soffre la percezione non solo di essere amato ma anche di poter amare e contribuire al bene comune. Le cure palliative permettono tutto questo: custodendo il gusto della vita fino alla fine». Il vero atto di civiltà oggi è investire sulle cure, non sulla morte: rafforzare le équipe di terapia del dolore, sviluppare l’assistenza domiciliare integrata, formare professionisti in grado di accompagnare le fragilità. Intanto, n’ella sede della Regione, la presidente della giunta Alessandra Todde, l’assessore della Sanità Armando Bartolazzi e i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto il Protocollo sul «sistema sanitario, socio-assistenziale, diritto alla salute, lavoro nella sanità della Sardegna».

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