Un colpo durissimo per l'Ucraina: la corruzione

Nulla è più corrosivo della sensazione che qualcuno, nelle retrovie, approfitti della situazione per arricchirsi, mentre il Paese paga un prezzo altissimo in vite umane, infrastrutture distrutte e sacrifici
December 6, 2025
Un colpo durissimo per l'Ucraina: la corruzione
Una fotografia scattata dalla 24ª Brigata Meccanizzata delle Forze Armate Ucraine il 28 novembre: un militare tra le macerie di Kostyantyn, città nel distretto orientale di Kramatorsk pesantemente bombardata dai russi
Per un Paese impegnato da quasi quattro anni in una guerra di sopravvivenza, il nuovo grave scandalo di corruzione che ha colpito il governo di Volodymyr Zelensky costituisce un colpo durissimo. Una vicenda di questo tipo mina la credibilità interna ed esterna, indebolisce la mobilitazione civile, logora la fiducia dei partner e, soprattutto, erode quell’energia morale che è essenziale quando si combatte contro un aggressore molto più grande e violento. Nulla è più corrosivo della sensazione che qualcuno, nelle retrovie, approfitti della situazione per arricchirsi, mentre il Paese paga un prezzo altissimo in vite umane, infrastrutture distrutte e sacrifici quotidiani. Non è solo un fatto di cattiva amministrazione: è un colpo al cuore del progetto politico che l’Ucraina sta cercando di difendere.
La vicenda risulta ancora più drammatica se inserita nel contesto degli sforzi diplomatici e finanziari che l’Occidente ha messo in campo in questi anni. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e diversi Paesi alleati hanno impegnato centinaia di miliardi in aiuti economici e militari, spesso a costo di tensioni interne e critiche politiche. Questa solidarietà si fonda su un presupposto: l’Ucraina combatte non solo per i propri confini, ma per un modello di società che riconosciamo come affine. Per questo ogni scandalo che tocca i vertici politici rischia di indebolire la legittimità complessiva dell’impegno occidentale. La corruzione ha un effetto moltiplicatore negativo: demotiva i cittadini; alimenta la sfiducia; indebolisce la percezione di giustizia; compromette l’uso degli aiuti internazionali. Oltre a regalare all’avversario uno straordinario materiale propagandistico.
In un Paese in guerra, la corruzione è un fattore sistemico che può decidere le sorti del conflitto. Il rischio molto concreto è che l’Ucraina finisca in ginocchio non tanto per la superiorità militare russa, quanto per un’implosione interna. Ancora più grave è il fatto che si tratta di una dinamica già ben conosciuta. Si ricordi l’Afghanistan: dove, dopo vent’anni di presenza americana e internazionale, con migliaia di miliardi investiti, il regime costruito a Kabul è crollato in pochi giorni nell’estate del 2021. E la ragione di fondo non è stata tanto la forza irresistibile dei taleban quanto la debolezza strutturale dello Stato afghano, divorato dalla corruzione. Che ha svuotato la legittimità del governo più di qualsiasi errore militare; ha reso impossibile creare fiducia, ha bruciato le risorse destinate allo sviluppo; ha trasformato una missione internazionale di “State building” in una gigantesca macchina dello spreco.
È questo lo spettro che oggi aleggia sull’Ucraina. La retorica ufficiale, sia a Kiev sia nelle capitali europee, insiste sul fatto che la guerra non è solo territoriale ma valoriale: l’Ucraina difende la libertà contro l’autoritarismo; lo Stato di diritto contro l’arbitrio; l’autogoverno democratico contro il dominio imperiale. Ma questa narrazione rischia di svuotarsi se i fatti interni la contraddicono. La libertà, per essere credibile, esige coerenza. Le democrazie non sono perfette, ma sono tenute a mostrare che le loro istituzioni sanno correggersi, punire gli abusi, mantenere un minimo di etica pubblica. Se il governo ucraino vuole che il mondo continui a credere nella sua causa, deve risolvere il nodo corruzione. La guerra non sospende la questione morale: la rende ancora più vitale. Tutto questo fa sorgere una domanda scomoda ma inevitabile: è possibile difendere la libertà per procura, sostenendo un Paese con ingenti flussi finanziari e militari?
È una domanda che riguarda non solo l’Ucraina, ma il modello stesso di politica estera seguito dall’Occidente negli ultimi trent’anni. Abbiamo sostenuto Paesi che dicevamo di voler “democratizzare” – dall’Iraq all’Afghanistan – spesso senza riuscire a costruire istituzioni decenti. Anzi, creando commistioni improprie e intrighi basati su interessi inconfessabili. Il problema è che quando l’unico strumento della solidarietà diventa il denaro, si rischia di alimentare proprio ciò che si vorrebbe contrastare: clientelismi, rendite, sprechi, circuiti opachi. La libertà non si compra: si costruisce. Politicamente, economicamente e soprattutto culturalmente. Facendo nascere istituzioni capaci, con un’etica minima del potere, con il coinvolgimento dei cittadini e delle forze sociali. Senza questi presupposti, il sostegno finanziario esterno diventa una morfina politica: allevia il dolore, non cura la malattia. L’Ucraina ha tutto il diritto di difendersi e l’Europa ha tutto l’interesse a sostenerla. Ma l’efficacia della resistenza dipenderà, in ultima istanza, dalla credibilità morale dello Stato ucraino. La domanda, allora, resta aperta: si può davvero difendere la libertà per procura?

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