Il corso di laurea per militari, un caso politico senza motivo

Il rifiuto dell’Ateneo bolognese di attivare un percorso dedicato non riguarda solo la questione dell'autonomia universitaria, ma è dovuto a difficoltà oggettive reali
December 5, 2025
Il corso di laurea per militari, un caso politico senza motivo
La biblioteca dell'Università di Bologna /Brancolini
Come spesso capita in Italia, purtroppo, questioni che sarebbero tutto sommato di ristretta portata assumono un rilievo generale, soprattutto a causa delle incomprensioni (e diciamo pure, delle strumentalizzazioni) della politica. La decisione di non attivare un corso di laurea specifico per i militari, assunta dal dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna, ne è l’ennesima riprova. Ed è significativo che si alzi un polverone, con critiche molto dure nei confronti dell’Ateneo bolognese, quando da venticinque anni a questa parte – da quando è cominciata cioè l’autonomia universitaria – non si è persa occasione per criticare l’attivazione di corsi di laurea ritenuti troppo particolari, troppo specifici, destinati a un gruppo di utenti troppo ristretto. Ora, l’attivazione di un corso di laurea non è propriamente la cosa più semplice e veloce di questo mondo. Dopo aver ricordato la cosa fondamentale, che cioè le Università non sono un organo dello Stato dipendente da altre istituzioni, ma sono istituzioni la cui autonomia è stabilita e garantita dalla nostra Costituzione, che all’art. 33 dice che esse «hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato», dopo aver ricordato questo punto essenziale, dicevo, occorre portare l’attenzione su alcune cose non del tutto secondarie. Innanzitutto, per attivare un corso di studi è necessario avviare una procedura complessa, che coinvolge non solo i dipartimenti e gli atenei, ma pure il ministero dell’Università, nonché soprattutto l’Anvur, la temuta e temibile Agenzia per la valutazione del sistema universitario che regola in maniera assai rigida ogni passaggio e ogni decisione interna agli atenei stessi. Le procedure di accreditamento, cioè di riconoscimento e accettazione, dei corsi di laurea e dei dottorati sono soggette ad una serie di valutazioni, previste e regolate dal decreto 1154 del 14 ottobre 2021, la cui lettura dovrebbe essere obbligatoria per chiunque si senta in dovere di intervenire sulla vicenda di cui si sta parlando in questi giorni. Lettura che, peraltro, servirebbe a rendersi conto di cosa sia diventata l’Università in questi anni, con una burocrazia asfissiante che si rinnova e si rafforza di anno in anno. Ogni corso di laurea, una volta attivato, implica lo svolgimento di una serie di attività burocratiche, che gravano sul corpo docente ben oltre l’attività didattica da svolgere a lezione.
In secondo luogo, va ricordato che per attivare un corso di studio occorre avere a disposizione un certo numero di docenti dedicati, condizione particolarmente difficile da mettere in atto, considerate sia le regole sia la ristrettezza delle risorse, tanto più in una condizione nella quale non è possibile attivare contratti di insegnamento con personale non di ruolo, se non per situazioni determinate ed eccezionali. Per quanto nel caso specifico le risorse venissero messe a disposizione dall’Accademia militare, rimane il fatto che si sarebbe trattato di un aggravio delle attività didattiche da svolgere che avrebbe pesato comunque sul Dipartimento. Va ricordato che le università hanno dovuto subire, negli ultimi anni, tagli consistenti, che in qualsiasi altro comparto avrebbero scatenato proteste furibonde, e che solo la ormai risaputa e cronica incapacità del sistema universitario di mettere in atto una protesta unitaria e credibile ha fatto sì che passasse del tutto inosservata (ma non indolore). Nel merito della questione, in ogni caso, dopo aver ricordato che chiunque ne abbia i requisiti, compresi i militari, è sempre libero di iscriversi ai corsi di laurea che ritiene più adatti per la sua formazione (come è stato detto dal Rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari), si deve dire che l’istituzione di un corso specifico di formazione per militari sarebbe qualcosa di anomalo, se pensato come corso esterno all’Accademia militare, dal momento che nessuno specifico settore o attività della nostra società gode di questo particolare “privilegio”. Potrebbe invece essere preso in considerazione se pensato come corso interno all’Accademia stessa. L’esigenza di una formazione filosofica, di una “educazione al pensiero laterale”, e cioè critico, per i militari, avanzata dal Capo di stato maggiore dell’esercito, generale Carmine Masiello, sarebbe in questo senso qualcosa che si può prendere in considerazione, fatte salve tutte le considerazioni precedenti e fatta salva ovviamente la totale libertà di decidere i contenuti del corso di laurea e dei singoli corsi impartiti. A smentire le cose che si stanno ascoltando in questi giorni, si deve ricordare infatti che le università già tengono molti corsi specifici per i militari dentro le Accademie, come quella di Modena o di Livorno. Dunque, la polemica contro una presunta e inesistente chiusura pregiudiziale non ha alcuna ragione di esistere. Anche su questo tema, perciò, il noto motto einaudiano «conoscere per deliberare» vale come un invito al dialogo, il quale non può che trarre giovamento dalla capacità e volontà di non prendere ogni occasione per inasprire il dibattito politico, che avrebbe invece bisogno di tutt’altro.

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