La Cina è tornata in bici. Non per il comunismo, ma per l'ambiente
di Luca Miele
Simbolo dell'emancipazione proletaria ai tempi di Mao, le due ruote dagli anni '80 sono state soppiantate dalle auto. Ora sono "cool", e in alcune città ce ne sono più di una per abitante

«Traverso le viti di una bicicletta si può anche scrivere la storia d’Italia», scriveva Gianni Brera, appassionato cantore delle gesta sportive degli «arpionatori» delle due ruote. Ebbene la stessa «ricetta» può essere applicata alla Cina. Niente come la bicicletta – il primo mezzo meccanico che ha esaltato la mobilità umana, anticipando l’invasione delle automobili e dei mezzi di trasporto di massa – restituisce la storia sociale, economica, simbolica, culturale del gigante asiatico degli ultimi due secoli. Basta inseguire l’alveare degli spostamenti disegnati sulle strade del gigante asiatico per sagomare un ritratto della Cina di ieri, di oggi e di domani. Perché le due ruote stanno riemergendo da quella che sembrava un’eclissi definitiva. E il Paese potrebbe tornare a essere «l’impero delle biciclette», grazie a un mix di fattori, non ultimo una sempre più spiccata sensibilità ecologica. I numeri certificano un ritorno prepotente. Secondo i dati forniti dalla China Bicycle Association, le biciclette nel gigante asiatico hanno superato quota 200 milioni. A queste vanno affiancati altri 380 milioni di veicoli elettrici. Così con oltre 580 milioni di esemplari, la Cina possiede la flotta più grande al mondo. Come riportato da China Daily, i cinesi utilizzano biciclette o e-bike per circa 30 spostamenti su 100. Dopo il debutto in Europa, i pedali raggiunsero la Cina nel 1868. In un primo momento a cavalcare questo strano oggetto «esotico» – irraggiungibile a causa del suo costo per quasi tutti i cinesi – erano quasi esclusivamente gli espatriati occidentali, le élite cosmopolite e le forze armate. Il vero salto di qualità (e di diffusione) avvenne per volontà delle autorità politiche. Come scrive il sito «Macro Polo», l’ascesa al potere nel 1949 del Partito comunista cinese coincise con la promozione della bicicletta a «simbolo del progresso proletario».
Sotto la direzione di Mao, il governo accorpò i produttori locali in aziende leader a livello nazionale – come l'iconica Flying Pigeon di Tianjin, fondata nel 1950 –, aziende che godevano di un accesso privilegiato a materiali scarsi. Con il primo Piano quinquennale (1953-1957), vennero fissati obiettivi ambiziosi. Il Paese raddoppiò il suo parco veicoli, raggiungendo quota un milione di esemplari nel 1958. Fu un successo spettacolare. La spinta decisiva arrivava direttamente dalla geografia urbana cinese: i trasporti pubblici erano latitanti, le automobili rare e inaccessibili, «le biciclette divennero il mezzo di trasporto essenziale per i pendolari e per spostarsi durante il tempo libero». Un dominio che rimase incontrastato fino agli anni '80. Poi, a cavallo del decennio successivo, il primato iniziò a incrinarsi. Grazie all’urbanizzazione sempre più vertiginosa e all’aumento dei salari, Pechino mollò le due ruote e puntò tutto sull'industria automobilistica. Nel marzo 1994, il Consiglio di Stato emanò la «Politica di produzione dell'industria automobilistica», che ridisegnò la pianificazione industriale e urbana, legando in un nodo indissolubile lo sviluppo delle strade ai motori. Insomma, dalle due i cinesi ormai erano passati alle quattro ruote. Dalla pedalata all’acceleratore. Dallo sforzo fisico alla velocità alimentata dai motori. Lo status della bici declinò: il simbolo dell’emancipazione proletaria si abbassò a mezzo utilizzato «dai cittadini più poveri».
Il nuovo millennio ha però rimescolato le carte. Quella che sembrava una sparizione (quasi) definitiva si è capovolta in una resurrezione. Gli effetti della urbanizzazione e della motorizzazione selvaggia sono diventati imponenti, tossici. E ingovernabili. Dalla congestione delle città soffocate dalle auto, alla dipendenza dal petrolio, per finire all’inquinamento atmosferico. Le metropoli cinesi rischiano l’implosione. Lo sviluppo centrato sulle automobili ha iniziato a mostrare tutti i suoi limiti mentre una nuova sensibilità ecologica e la necessità di mitigare gli effetti della urbanizzazione hanno promosso un nuovo stile di vita. La bicicletta è tornata a essere cool. Il nuovo imperativo – quasi un mantra - delle autorità cinesi è promuovere una mobilità urbana sostenibile e ridurre, la tempo stesso, la dipendenza dai combustibili fossili. Il motivo? È presto detto. Secondo le stime della China Bicycle Association, «gli spostamenti su due ruote riducono le emissioni di carbonio in Cina di circa 10.000 tonnellate al giorno, l'equivalente di un risparmio di circa 6,6 milioni di litri di benzina».

Città come Hangzhou, Pechino e Chengdu hanno puntato sullo sviluppo delle infrastrutture ciclabili. Hangzhou è stata una delle prime città al mondo a implementare un sistema pubblico di bike sharing su larga scala già nel 2008. La metropoli vanta oltre 1,5 biciclette pro capite, uno dei tassi più alti in Asia, facendo meglio anche di Pechino che, nonostante la congestione del traffico automobilistico, mantiene ancora una bicicletta per abitante. Uno sguardo al panorama asiatico: Tokyo ha una media di 0,6 biciclette a persona, Seul si attesta a 0,4. La storia della bicicletta è anche una storia industriale. O meglio, di un successo industriale. Tutto cinese. Come riporta il Global Times, «il gigante asiatico oggi è il maggiore produttore mondiale, con un commercio annuo che rappresenta circa il 60% di quello mondiale». Nel 2023, nel Paese, sono state prodotte 48,83 milioni di esemplari a pedali. Ha fatto persino meglio la bicicletta elettrica, con la produzione schizzata a quota 50,35 milioni. Nel 2024, la Cina ha esportato biciclette per 2,7 miliardi di dollari. Le principali destinazioni? In testa c’è il Giappone (447 milioni di dollari), seguito da Stati Uniti (428 milioni), Vietnam (240), Russia (157) e Thailandia (92,8). Il mercato internazionale sta cambiando pelle. Secondo Guo Wenyu, vicepresidente e segretario generale della China Bicycling Association, nel primo trimestre del 2025 la Cina ha esportato negli Stati Uniti 1,902 milioni di veicoli, accusando un calo del 17,1% rispetto all'anno precedente. Giù anche il valore dei componenti esportati, diminuito del 6,6% su base annua a causa delle politiche tariffarie. È emersa, però, una nuova tendenza: l'espansione della capacità produttiva nel sud-est asiatico ha determinato un aumento della domanda di componenti, portando a un salto del 44,4% delle esportazioni. Il gigante asiatico sta riequilibrando e ridisegnando la mappa del commercio mondiale. Meno Occidente e più Asia e Sud del mondo. La bicicletta cinese sembra pronta per nuove volate.
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