martedì 23 novembre 2021
L'autorizzazione a un paziente tetraplegico marchigiano, dopo 10 anni di immobilità a seguito di un incidente. Il Vaticano: subito cure palliative
Un medico in corsia

Un medico in corsia - Archivio Ansa

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Per la prima volta in Italia il suicidio assistito viene autorizzato: accade per un paziente tetraplegico marchigiano che lo aveva chiesto avviando un'azione legale contro l'Azienda sanitaria regionale per il ritardo nella risposta alla sua richiesta di uccidersi con l’aiuto dei medici. Il paziente in questione – è stato chiamato «Mario» – dopo dieci anni di immobilità a seguito di un incidente stradale, tramite l'Associazione radicale Luca Coscioni aveva formalizzato un ricorso al Tribunale di Ancona. L'Azienda sanitaria aveva vincolato la sua decisione alla pronuncia del Comitato etico regionale, smentendo comunque di non avere dato luogo ai passaggi previsti dalla legge, tra i quali l'esame delle condizioni cliniche del paziente.

Dopo due pronunce dei giudici di Ancona e altrettante diffide legali all'Asur Marche, è ora arrivato il parere del Comitato etico dell'Asur Marche che, proprio a seguito della verifica delle condizioni, avvenuta con un gruppo di medici specialisti nominati dalla stessa Azienda, ha confermato che Mario possiede i requisiti per l'accesso legale al suicidio assistito previsti dalla sentenza Fabo-Cappato emessa dalla Corte costituzionale nel 2019 ma ancora in attesa di essere tradotti in legge dello Stato.

Il paziente, attraverso l'associazione Coscioni, ha commentato di sentirsi «più leggero: mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni».

Negli ultimi mesi esponenti della comunità ecclesiale marchigiana avevano espresso solidarietà e condivisione per le condizioni di vita e la sofferenza di Mario, ma anche la consapevolezza che la vita è e resta valore indisponibile, sempre e comunque, invocando che le istituzioni anziché dare la morte a un paziente facciano tutto il possibile per alleviare le sofferenze di pazienti in condizioni analoghe a quelle di Mario.

Il parere del Comitato etico

Ma la lettura delle due cartelle di parere del Comitato etico dell'Asur Marche aprono più domande di quante i promotori radicali del "diritto di morire" possano chiarire. Preso atto che il paziente non è disposto a sottoporsi a una terapia antidolorifica integrativa, l'organismo si è detto infatti impossibilitato a fornire una valutazione su modalità, metodica e farmaco da utilizzare sul paziente formulando ben cinque domande.

In particolare il Comitato rileva che non è motivata la scelta del dosaggio a 20 grammi del farmaco scelto, che non viene specificata la modalità di una premedicazione per ridurre l’ansia e sedare il paziente e neanche di un’anestesia. Il Comitato si dichiara anche incompetente a fornire un’alternativa al farmaco indicato.

Non solo: esaminando uno per uno i criteri dettati dalla Corte costituzionale per la depenalizzazione dell'assistenza al suicidio in casi eccezionali (tra questi, il fatto che la vita del paziente dipenda da trattamenti di sostegno vitale, come "la ventilazione assistita, oppure l'idratazione e l'alimentazione artificiale" secondo le parole stesse del parere), il Comitato rileva che "Mario" non è attaccato a "macchinari".

E dunque il suo caso è al di fuori del perimetro di ciò che la Corte ha dettato con estrema precisione. Infine, lo stesso Comitato etico riconosce che nel caso specifico la "sofferenza fisica e psicologica ritenuta insopportabile" è un elemento che è "difficile rilevare". Infine, un elemento rilevantissimo in ogni vicenda di questa drammaticità: il paziente infatti "non ha accettato le proposte terapeutiche di integrazione della terapia con farmaci antidolorifici o con ulteriori aiuti domiciliari". In altre, e tragiche, parole, la sua è una volontà di togliersi la vita, che richiede non una comunità che lo aiuta a morire ma che lo sostiene e non lo abbandona alla disperazione.

Come nota il Centro studi Livatino commentando la vicenda, "resta lo sconcerto della percezione di uno sforzo comune teso a togliere la vita a un grave disabile: la cui sofferenza di ordine psicologico merita aiuto e affiancamento, non l'individuazione della sostanza più idonea a ucciderlo".

La lettura del parere del Comitato etico, in buona sostanza, non autorizza considerarlo un via libera al suicidio assistito né il riconoscimento di un diritto. Ora dunque la parola passa ad altre autorità evocate dal Comitato, come ha spiegato lo stesso assessore alla Salute della Regione Marche Filippo Saltamartini: «Sarà il tribunale di Ancona a decidere se il paziente tetraplegico di 43 anni potrà avere diritto al suicidio medicalmente assistito: il Comitato Etico dal canto suo ha sollevato dubbi sulle modalità e sulla metodica del farmaco che il soggetto avrebbe chiesto, il Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi, senza specificare come dovesse essere somministrato».

L'Ufficio per la Pastorale della salute della Cei

"Quando una persona sceglie di terminare la propria vita si impongono atteggiamenti di profondo rispetto per chi vive una sofferenza tale da decidere di smettere di vivere. La sofferenza delle persone va sempre considerata e se porta ad una scelta così estrema significa che è molto alta", afferma don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Cei.

"Un altro atteggiamento richiesto è di vicinanza fraterna a chi soffre in questo modo, perché non si senta solo. La comunità cristiana prega e accompagna ogni sofferente".

"Al tempo stesso - prosegue il direttore dell'Ufficio Cei - non è condivisibile ogni azione che vada contro la vita stessa, anche se liberamente scelta. La vita è un bene ricevuto, che va tutelato e difeso, in ogni sua condizione. Nessuno può essere chiamato a farsi portatore della morte altrui. La coscienza umana ce lo impedisce. La comunità civile, anche attraverso le sue scelte pubbliche, è chiamata ad assicurare le condizioni perché ogni sofferente sia sollevato dal dolore, anche attraverso i percorsi palliativi, e garantire le cure necessarie ai malati che sono al termine della loro vita". ​

​La Pontificia Accademia per la vita

"La materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso", afferma inn una nota la Pontificia Accademia per la Vita a commento del via libera al suicidio assistito ottenuto da "Mario", col parere del "Comitato etico territorialmente competente". "La strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l'insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l'équipe curante".

"Non disponendo delle informazioni mediche precise sulla situazione clinica, occorre limitarsi a qualche rilievo generale", rileva la Pontificia Accademia per la Vita in una nota. "Anzitutto - osserva - è certamente comprensibile la sofferenza determinata da una​patologia così inabilitante come la tetraplegia che per di più si protrae da lungo tempo: non possiamo in nessun modo minimizzare la gravità di quanto vissuto da 'Mario'".

"Rimane tuttavia la domanda - prosegue - se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione 'di principio' del suicidio assistito, o addirittura dell'omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l'omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti?".

"Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il normale potere di sopprimere, non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità vulnerabile, sofferente, disperata? - chiede ancora l'organismo bioetico vaticano - Tutto quello che riusciamo ad esprimere è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?".

"Si pone, in altri termini, l'interrogativo - almeno l'interrogativo, se non altro per non perdere l'amore e l'onore del giuramento che sta al vertice di tutte le pratiche di cura - se non siano altre le strade da percorrere per una comunità che si rende responsabile della vita di tutti i suoi membri, favorendo così la percezione in ciascuno che la propria vita è significativa e ha un valore anche per gli altri", spiega.

Secondo la Pontificia Accademia per la Vita, "la vicenda solleva inoltre una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali. Non si può escludere che la difficoltà della risposta sia stata determinata anche dalla difficoltà di chiarire il ruolo da svolgere". Infatti "la dizione impiegata non è quella abituale (finora si è parlato di Comitati per la sperimentazione clinica di Comitati per l'etica clinica)". Del resto, "nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 si richiede un compito che non corrisponde a quanto è previsto per entrambe le tipologie finora note: si tratta di operare un giudizio vincolante di conformità della particolare situazione clinica alle quattro condizioni stabilite dalla Sentenza della Corte Costituzionale".

"Un compito - conclude la struttura vaticana - cioè che potrebbe più adeguatamente essere svolto da un comitato tecnico (medico-legale) che verifichi la sussistenza delle condizioni prescritte. Un comitato di etica potrebbe essere più correttamente essere coinvolto in una consultazione previa alla decisione del paziente".

Le associazioni per la vita

Il Comitato etico marchigiano «ritiene sussistano i requisiti dal punto di vista di una valutazione strettamente etica e di prassi sanitarie, ma fa emergere di avere ricevuto la richiesta di un parere anche in ordine alle modalità di somministrazione del farmaco letale, precisando tuttavia di non avere ricevuto elementi sufficienti per esprimere un giudizio etico sulla procedura indicata. In definitiva, il parere è formalmente incompleto e dunque non positivo». Lo afferma il presidente nazionale di Scienza & Vita Alberto Gambino, che si chiede anche se «il Servizio sanitario dovrà farsi carico di assistere il paziente nell’autosomministrazione del veleno». Si tratta «di un tema delicatissimo che richiederà eventualmente una legge che possa scongiurare che nelle strutture sanitarie si possa assistere inerti ad atti suicidari di autoassunzione di farmaci letali». «Il Comitato etico non ha autorizzato alcun suicidio assistito» fa eco il Centro studi Livatino, che esprime «sconcerto» davanti alla «percezione di uno sforzo comune teso a togliere la vita a un grave disabile: la cui sofferenza di ordine psicologico merita aiuto e affiancamento, non l’individuazione della sostanza più idonea a ucciderlo». «Legalizzare il suicidio assistito, facendo leva sui casi più drammatici, significa aprire un’autostrada sulla disponibilità della vita umana» afferma Massimo Gandolfini, neurochirurgo e leader del Family Day, parlando di «smania» che «corrisponde alle nefaste politiche dei tagli alla sanità e all’assistenza pubblica che hanno devastato i nostri sistemi di welfare. Non c’è compassione nel dare la morte, chi soffre va accompagnato e curato».

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