venerdì 15 febbraio 2019
Salta l'intesa Lega-M5s sul testo-base, si riparte da zero con le audizioni e i tempi si allungano
Ma sui «festivi» la maggioranza è in panne
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Si ricomincia da capo sui limiti alle aperture domenicali. Come avviene nel gioco dell’oca quando improvvisamente si torna al punto di partenza, cancellando il percorso svolto fino a quel momento, la maggioranza gialloverde di fatto annulla i (pochi) passi in avanti compiuti e (tanto) sbandierati per mettere un freno alle liberalizzazioni selvagge nel commercio introdotte dal governo Monti nel 2011.

Due settimane fa Movimento 5 stelle e Lega hanno annunciato in pompa magna l’intesa su un testo base depositato dal relatore Andrea Dara (Lega) in commissione Attività produttive della Camera e che, successivamente, sarebbe passato all’esame dell’Aula di Montecitorio per appro- dare infine al Senato. Dopo mesi di confronto, il 31 gennaio è stato comunicato il raggiungimento di una quadra attraverso una proposta di legge in cui si prevede un massimo di 26 domeniche aperte all’anno (con deroghe per zone turistiche e nei centri storici) e la chiusura obbligatoria nelle 12 festività nazionali (laiche e religiose), di cui 4 derogabili su scelta delle Regioni, che potranno scegliere in base alle esigenze del territorio. Ieri, invece, la retromarcia clamorosa.

È la Lega e mettere la faccia sulla giravolta. «Si è deciso di riaprire le audizioni sul ddl sulle aperture domenicali dei negozi per capire cosa ne pensano le associazioni di categoria, cominceremo a parlarne la settimana prossima» afferma il relatore del provvedimento, il leghista Andrea Dara. A parole si nega uno stop che però è confermato dai fatti. Senza contare l’inevitabile allungamento dei tempi per arrivare ad approvare una legge. «Non c’è nessuna marcia indietro, le opposizioni - Forza Italia e Pd sono rimaste spiazzate perché abbiamo dato una deroga ai centri storici e ai negozi di vicinato che rimarranno aperti come oggi, cosa che negli altri testi non c’era, per questo hanno chiesto le audizioni », è la spiegazione di Dara.

L’intenzione dichiarata è arrivare alla più ampia condivisione possibile in Parlamento. Tra le righe, tuttavia, si capisce che è soprattutto il contenuto del testo a essere tornato in bilico. Alcuni rumors parlano di una salita a 32 del numero di domeniche aperte rispetto al 50% stabilito nel testo base e di altre modifiche a favore di chi vorrebbe mantenere lo status quo sul commercio. Un’ipotesi su cui si starebbe ragionando è quella di dare una deroga alle città metropolitane (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) per poter decidere autonomamente.

«Abbiamo bisogno di capire quali possono essere le ricadute sui territori – aggiunge Dara –. Vogliamo un testo il più aperto possibile al confronto, che tenga conto anche delle richieste delle associazioni di categoria». Si riapre, dunque, il dibattito con il mondo del commercio sulla proposta. Il M5s non gradisce, eppure evita strappi. Il Movimento conferma la linea, definisce una «balla» lo stop alla proposta di legge, ma non esclude modifiche. «Come da regolamento si aprirà un nuovo ciclo di audizioni, ma l’iter della proposta in Commissione è partito – sostengono i deputati pentastellati che si occupano del dossier –. Ogni testo è certamente sempre migliorabile e il lavoro parlamentare serve proprio a questo. Ma siamo certi che non si può tornare indietro, perché gli interessi dei cittadini sono più importanti di quelli di qualsiasi lobby».

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