domenica 17 marzo 2019
I dubbi sul bilancio? C’è la massima trasparenza possibile, so però che più l’ospedale fa e più saremo attaccati
Mariella Enoc

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Un ospedale pieno d’umanità per tutti i bambini del mondo, con al centro i piccoli pazienti e le loro famiglie. La presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, ripete più volte che quello che dirige è «un ospedale aperto, perché il nostro sapere deve essere patrimonio di tutti».

Come si fa ad attualizzare nel contesto sanitario di oggi lo spirito che animò 150 anni fa la duchessa Salviati?
L’ospedale si è modernizzato ma ha mantenuto lo spirito di un tempo; quella missione che io ad esempio ho legato molto alla ricerca scientifica. D’altra parte quelle quattro bambine – le prime pazienti– avevano una forma di tubercolosi molto rara che venne curata grazie alle ricerche di allora. Non dimentichiamo che oggi medicina vuole dire soprattutto cercare di arrivare il più possibile alla guarigione e, quando non si può, cercare di dare una condizione di vita migliore al bambino ammalato e alla sua famiglia. Questo ospedale è un centro di eccellenza nella ricerca, ma continua ad avere anche l’anima di un ospedale aperto, visto che mettiamo a disposizione di tutti le nostre conoscenze, anche di quelli che noi potremmo definire dei 'concorrenti'. Il Bambino Gesù è una struttura non profit, e deve avere i bilanci in ordine – su questo siamo attentissimi – tuttavia non profit non significa non guadagnare, ma saper donare quello che si ha. Anche il lavoro di formazione che stiamo facendo in tanti Paesi del mondo rientra in questa logica.

Il primo regolamento dell’ospedale fa trasparire già l’idea del percorso terapeutico a misura di bambino. Dopo 150 anni cosa è cambiato?
Allora come oggi mettiamo al centro il bambino e la sua famiglia. Il percorso tiene conto del meglio che si può dare nell’assistenza, in dialogo continuo con il bambino, avendo la capacità di far parlare le diverse discipline mediche superando il concetto dei dipartimenti e degli steccati. Quando abbiamo separato le due coppie di gemelline siamesi, ad esempio, hanno lavorato due équipe di venti persone l’una e nessuno si è preso il primo posto. Questo è il clima di cui sono molto orgogliosa.

Non sente una responsabilità maggiore a guidare l’ospedale del Papa?
Con il Papa c’è un’empatia straordinaria, non serve parlar- ci, per capirci basta guardarci negli occhi. Adesso però desidero parlargli presto, per raccontargli un nuovo progetto: la costruzione di un istituto per i tumori e i trapianti nel sito appena acquistato in via di Villa Pamphili. Sarebbe il primo centro specifico pediatrico.

In questi anni l’ospedale ha ampliato anche la sua vocazione internazionale. Quali progetti sono in cantiere?
Continueremo ad accorrere dove ci viene richiesto. Dopo il Centrafrica, con cui stiamo ancora lavorando, stiamo avviando un percorso con la Corea del Sud. Nell’ospedale cattolico di Seul, partirà un progetto di formazione anche di medici della Corea del Nord. Poi abbiamo alcuni Paesi dell’America Latina che stanno chiedendo collaborazione, come la Colombia. Continuano i due progetti di ricerca scientifica con la Russia, la Cina e la Cambogia. Ho nel cuore poi lo Yemen, dove ci è stato chiesto di donare il nostro sapere.

Come risponde a chi avanza dubbi sul vostro bilancio?
Mi sento la coscienza in pace. Diamo la massima trasparenza possibile, so però che più l’ospedale fa e più saremo attaccati. Sono qui con l’unica volontà di curare al meglio i bambini, con i bilanci in ordine altrimenti non potrei farlo, perché davvero non ho nulla da nascondere. Quindi proseguo nella linea di essere una struttura non profit a servizio del mondo, se qualcuno vuole attaccare me lo faccia, ma non tocchi l’ospedale. Non lo merita.

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