mercoledì 27 ottobre 2021
«Identità di genere», libertà di pensiero e opinione E la Giornata nazionale imposta a scuole e famiglie son gli articoli che più fanno discutere

L’ARTICOLO 1
«Identità di genere», il concetto-cardine che divide

Il primo nodo irrisolto della legge è il più complesso. Perché coinvolge l’architrave stessa della legge: l’«identità di genere», al centro del titolo col quale è stata approvata alla Camera il 4 novembre 2020. Quello che è noto come ddl Zan è infatti un testo che in 10 articoli detta le «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Togliere l’identità di genere – come viene chiesto da più parti – perché concetto troppo vago e divisivo non viene contemplato dai fautori della legge, che hanno assunto il concetto come una bandiera. L’articolo 1 è dedicato alle «definizioni» – sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere – col risultato di riscrivere la natura umana per legge: operazione problematica, anche perché chi non condivide che «per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione» rischia il carcere.

L’ARTICOLO 4​
Troppe incognite sulla libertà di pensiero e opinione

La libertà di pensiero e di opinione, tra i princìpi cardine della Costituzione, viene messa in discussione dall’attuale formulazione dell’articolo 4, criticata da più parti come un vero pasticcio giuridico. «Ai fini della presente legge – recita il testo all’esame del Senato, sul quale però non si è registrata sinora alcuna disponibilità al cambiamento – sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». I problemi sono macroscopici. Se la «libera espressione» è tutelata dalla Costituzione (articolo 21) che bisogno c’è di prevederla in una legge? La risposta è in quel «fatte salve», un non senso giuridico: come se ci fossero circostanze indefinite in cui non sono «fatte salve». Come infatti si prevede poco dopo quando un «purché» apre un’area di genericissima punibilità di idee e scelte che si dice di voler salvaguardare (per tacere di chi deve decidere quando sono «legittime»). Tutto da rifare.

L’ARTICOLO 7​
La Giornata nazionale imposta a scuole e famiglie

Sull’articolo 7 si concentra l’attenzione di chi si occupa di educazione e scuola, come anche di tante famiglie. Perché vi si prevede l’istituzione del 17 maggio come «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» per «promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere»: concetto chiave della legge, quest’ultimo, che viene destinato così a incidere – insieme alla sequenza degli altri – nei percorsi formativi di bambini e adolescenti, pur essendo assai discusso. La Giornata infatti chiama in causa «le scuole» – non meglio precisate: dunque tutte, dalla materna al liceo, senza esenzioni per chi non la condivide – nelle quali «sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile». Non si dice «possono organizzare» ma «sono organizzate», con l’obiettivo di diffondere dunque concetti sui quali insegnanti, genitori, pedagogisti, educatori e psicologi non la pensano certamente tutti come la legge. La libertà di educazione è direttamente insidiata.

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