venerdì 9 ottobre 2020
Il rapporto tra positivi e persone testate è decollato in una settimana (al 6,5%), ma rimane lontano dai livelli di aprile. Grandi differenze tra regioni, possibili chiusure mirate
Covid, cosa è cambiato in 6 mesi
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Lo sconfiggeremo, questo è certo. Non accadrà oggi, non sarà domani, ma ce la faremo. Arriverà il vaccino, ma ci vuole ancora tempo. Cosa fare fino ad allora? Dovremo convivere con il virus, con le mascherine, compagne ormai inseparabili della nostra quotidianità, con il bollettino giornaliero dei casi, sempre a ricordarci che la sfida è accesa. La fotografia data dai numeri è molto diversa da quella che ha portato al lockdown del marzo scorso.

Oggi sappiamo contro cosa stiamo combattendo, lo monitoriamo facendo oltre 100mila tamponi al giorno, siamo preparati. Già questo è un piccolo successo. Non dobbiamo, tuttavia, abbassare la guardia. La situazione rimane seria, anche se non ancora allarmante. È sufficiente confrontare i dati recenti (8 ottobre) con quelli di sei mesi fa (7 aprile). I positivi attualmente sono 65.952, di cui: circa il 93% in isolamento domiciliare, in quanto asintomatici o con sintomi lievi; il 6% ricoverati con sintomi; l’1% ricoverati in terapia intensiva. Il 7 aprile avevamo il 43% in più di positivi rispetto ad oggi, pari a 94.247 positivi, di cui: solo il 65,3% in isolamento domici-liare, ben il 30,5% ricoverati con sintomi e un importante 4,2% ricoverato in terapia intensiva. Ad aprile la composizione dei casi allora positivi era, perciò, profondamente diversa e il sistema sanitario era sotto evidente pressione.

La situazione era drammatica: non c’era la possibilità di cercare i casi asintomatici o paucisintomatici e i tamponi venivano effettuati solo sui casi gravi, al punto che l’incidenza dei casi positivi in rapporto ai tamponi effettuati raggiunse oltre il 30% a metà marzo, mentre oggi è pari al 2,93%. È rilevante il fatto che molti dei tamponi giornalieri attualmente siano di controllo, ovvero ripetuti sulle stesse persone allo scopo di accertarne l’avvenuta guarigione. Il quadro d’insieme non varia di molto se consideriamo il rapporto tra casi positivi e numero di persone testate.


Oggi il 93% è in isolamento domiciliare, il 6% ricoverato con sintomi, l’1% in terapia intensiva. Il 7 aprile avevamo il 43% in più di positivi, di cui solo il 65,3% a casa, il 30,5% ricoverato e il 4,2% in rianimazione

Questo tipo di rapporto numerico, reso disponibile soltanto a partire da metà aprile, riporta al 7 maggio scorso una frazione di persone positive sul totale delle persone testate pari a oltre il 10%, mentre attualmente risulta ben inferiore, pari al 6,5%, ancorché in salita. Ahinoi, la situazione è ancora seria, l’epidemia è tornata a correre, soprattutto nell’ultima settimana (+22% di positivi). Eppure, solo tre mesi fa, il 7 luglio, i reparti di terapia intensiva erano praticamente vuoti (70), 14.621 i positivi e 940 solo i ricoverati con sintomi. Cosa è cambiato da allora? Abbiamo semplicemente abbassato la guardia. L’avvento dell’estate, la voglia di tornare alla normalità e un po’ di incoscienza hanno portato ad una netta inversione di tendenza nell’evoluzione dell’epidemia, evidenziata dal ringiovanirsi del valore relativo all’età media e mediana dei casi, che si sono ridotte notevolmente rispetto alla primavera scorsa, indice del fatto che il virus non risparmia neanche i giovani. I comportamenti di ciascuno di noi fanno e faranno sempre la differenza.


Secondo l’Istituto Superiore di Sanità il 70% dei contagi avviene in ambito familiare, il 10% sul luogo di lavoro e il 5% in ambienti ludici. L’ipotesi di un lockdown al momento non si giustifica

Cerchiamo e vogliamo tutti un ritorno graduale alla normalità. Tuttavia, ogni volta che andiamo al lavoro o all’università, prendiamo i mezzi pubblici, ogni volta che incontriamo amici e parenti, accettiamo un rischio. Il ritorno alla normalità porta con sé un rischio, perciò i dati degli ultimi giorni non sorprendono.

Alcuni danno la colpa al cosiddetto “effetto scuola”, affermando che l’aumento dei contagi sia il risultato della riapertura delle scuole. Leggendo il rapporto elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità si nota che il 70% dei contagi avviene in ambito familiare, il 10% sul luogo di lavoro e il 5% in ambienti ludici. E la scuola? La scuola non viene menzionata, o meglio viene inglobata nella voce “altro”. Seppure ci siano studi preliminari che mostrano aumenti nei contagi a settimane di distanza dall’apertura delle scuole, ad oggi non c’è evidenza di un nesso di causalità tra l’apertura delle scuole e l’aumento dei contagi. Nonostante si registri un aumento della velocità con cui crescono i contagi, un nuovo lockdown nazionale non è né auspicabile, né tantomeno giustificabile sulla base dei dati di oggi.

Tuttavia, è ragionevole prevedere un incremento del rapporto tra positivi e casi testati a ben oltre il 6,5%, a livello nazionale, nei prossimi dieci giorni, con punte anche oltre il 15% in alcune Regioni, come ad esempio la Campania, che complicherà non poco la gestione della diffusione dell’epidemia. In quel contesto, chiusure mirate saranno necessarie e, probabilmente, inevitabili. C’è un’ampia eterogeneità tra Regioni, città e perfino all’interno delle città. Un altro lockdown nazionale colpirebbe anche Regioni “virtuose” come il Molise e la Basilicata (all’8 ottobre, 0 ricoveri in terapia intensiva e rispettivamente 142 e 429 attualmente positivi), ove paragonate a Liguria, Umbria e Sardegna in cui già più del 10% dei posti disponibili in terapia intensiva risultano occupati, o alla Campania, in cui tale valore è al 9% circa. Un’altra differenza rispetto ai mesi passati, quando l’epidemia era per lo più circoscritta ad alcune Regioni del nord e alla Marche, mentre ora in ogni Regione ci sono focolai che necessitano di essere monitorati con attenzione. Eventuali misure restrittive dovranno tener conto di questa eterogeneità ed essere locali, per zone, piuttosto che per tipologia di attività.


Il tasso di positività è previsto in forte aumento nei prossimi 10 giorni. Preoccupa l’evoluzione in Campania. Situazione critica in Liguria, Umbria e Sardegna. Perché ora è utile Immuni

L’identificazione di nuove zone rosse non è irrealistica. Alternative alle chiusure mirate? Secondo alcuni è applicabile il cosiddetto “modello Svezia”: nessun lockdown nazionale e sensibilizzazione della popolazione ad avere comportamenti prudenti, con esigue imposizioni. Purtroppo, però, non c’è evidenza che il “modello Svezia” porti benefici dal punto di vista epidemiologico e/o economico. Tutt’altro. Come riportato in una ricerca del Norwegian School of Economics (Nhh) tinyurl.com/y2p2kmu3, qualora il “modello Svezia” fosse stato applicato alle vicine Norvegia e Danimarca avrebbe avuto effetti disastrosi sul sistema sanitario, che avrebbe dovuto fronteggiare un numero di ricoveri più che doppio rispetto a quelli registrati. I tifosi del “modello Svezia” sostengono che possa portare benefici in termini economici, alimentando il continuo dilemma tra il dover prediligere la salute o l’economia. Ebbene, la Riksbank, la Banca Centrale svedese, ha elaborato due proiezioni economiche per quest’anno, entrambe fosche. La migliore prevede una contrazione del Pil del 6,9%; l’altra, con ipotesi diverse, predice una riduzione del 9,7% del Pil. In entrambi i casi, certifica una grave recessione.

Questi numeri non sono migliori degli altri Paesi scandinavi. La Norvegia prevede un calo del Pil del 5,5%, Finlandia e Danimarca tra il 6% e il 6,5%. Cosa possiamo fare allora per proteggere noi e chi ci sta intorno? Innanzitutto, è necessario avere comportamenti prudenti e rispettosi delle regole, per quanto esse possano risultare restrittive. L’utilizzo di mascherine è sicuramente il primo passo per proteggere noi e gli altri da eventuali contagi. Come discusso recentemente sul New England Journal of Medicine (tinyurl.com/y4bf9c8l), l’utilizzo delle mascherine può aiutare a ridurre la gravità della malattia e garantire che una percentuale maggiore di nuove infezioni sia asintomatica e, allo stesso tempo, rallentare la diffusione del virus. Per poter contenere efficientemente la diffusione del virus, il tracciamento dei soggetti venuti a contatto con casi di positività è fondamentale. Applicazioni come Immuni svolgono un ruolo cruciale, perché, ricordiamolo, il tempismo nell’identificare potenziali casi, generalmente asintomatici, è risolutivo per limitare la diffusione del virus. Infine, aumentare il numero di tamponi porterà ad identificare i casi positivi nella fase iniziale della malattia e, di conseguenza, a mettere in sicurezza il sistema sanitario riducendo il numero di casi gravi.

Professore ordinario di Statistica Università Lumsa

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