Riccardo Muti: «Porto a Leone XIV la spiritualità di Cherubini
Stasera in aula Paolo VI il direttore sarà sul podio dell’Orchestra giovanile Cherubini e del Coro della Cattedrale di Siena con la “Messa per l’incoronazione di Carlo X”

Luci. Regali. Viaggi. «Il Natale di oggi è la negazione del Natale per i poveri». Riccardo Muti pensa ai suoi anni giovanili. «Quando ero bambino, a Molfetta, il Natale arrivava con il profumo dei mandarini. Cose semplici. Familiari». La novena, la Santa allegrezza, cantata dai mendicanti per le strade. «Una dimensione spirituale che oggi si è persa». E che il direttore d’orchestra vuole ritrovare. In musica. «Per dire che la spiritualità che il mistero della nascita di Cristo rimette al centro è necessaria. Oggi più che mai. In tempo di guerra». Così Muti celebra il Natale suonando per la prima volta davanti a papa Leone XIV. Stasera alle 18 in aula Paolo VI – diretta su Rai2 e sulla piattaforma Play2000 – il direttore sarà sul podio dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini e del Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini per la Messa per l’incoronazione di Carlo X di Luigi Cherubini. Momento, organizzato dalla fondazione pontificia Gravissimum educationis Cultura per l’educazione con il patrocinio del dicastero per la Cultura e l’educazione, che vedrà la consegna al maestro del Premio Ratzinger, attribuito ogni anno a personalità della cultura e dell’arte. Primo concerto di musica classica del pontificato di Robert Francis Prevost. «Lo rispetto e lo amo molto. Da quella sera nella quale si è affacciato alla Loggia delle Benedizioni subito dopo la sua elezione». Invocando pace. «Quella pace – auspica il direttore d’orchestra napoletano – che spero le note di Cherubini e della sua Messa possano portare al mondo».
Perché, maestro Muti, ha deciso di eseguire la Messa per l’incoronazione di Carlo X di Cherubini?
«Per la profonda spiritualità di cui è intrisa. La Messa, che venne eseguita nella cattedrale di Reims il 29 maggio 1852, è una pagina a tre voci, per coro, molto complessa. E ha una caratteristica che la distingue da tutte le altre Messe, perché, dopo i numeri canonici, alla fine, dopo che il coro ha terminato l’Agnus Dei c’è una pagina sinfonica, una Marcia religiosa, che Robert Schumann considerava sublime. Qualcuno ha definito Cherubini fuoco nel marmo, un Canova in musica. Va bene, ma le sue linee neoclassiche sono piene di espressione e non consentono sbavature. E dentro non c’è nulla di esibito, ma ogni passo è intriso di religiosità».
Quale la spiritualità che ritrova in questa pagina?
«Prendiamo il contrappunto che non è freddo o artificioso, fatto solo per sottolineare la sua capacità compositiva. Cherubini usa il contrappunto, mirabile, perfetto, per sottolineare la parola. Lui canta sempre. Maestro di contrappunto, ma anche continuatore della cantabilità di Palestrina. La musica che scrive Cherubini è molto aderente al significato profondo del testo latino. E dunque intrisa di spiritualità. Tante volte grandi capolavori sono distanti dalle parole e della loro spiritualità. Con Cherubini questo non accade».
Cosa dirà a papa Leone?
«Sono sono noto per improvvisare sempre, non mi preparo nulla. Perché ci sono sempre porte che si aprono inaspettatamente... ed è bello vedere cosa nascondono. Forse parleremo di Chicago, la sua città, che conosco bene perché, dopo averla guidata per anni, ora sono direttore emerito a vita della Chicago symphony orchestra. Voglio sicuramente complimentarmi per la sua apertura al mondo della musica. A Papa Francesco, che incontrai, ma per il quale non feci musica, chiesi di non dimenticarsi di quanto la Chiesa nei secoli ha fatto per la musica. I martiri cristiani andavano al martirio cantando, non dimentichiamocelo».
Leone XIV è il quarto papa per il quale fa musica. Dopo aver diretto davanti a personalità mondiali, a pontefici, quale il suo stato d’animo?
«Da credente è davvero un momento di grazia. La prima volta che ho diretto per un papa era il 1965. Fu per Paolo VI. Il Conservatorio di Milano andò a Roma per rendere omaggio a Montini, eletto pontefice dopo essere stato arcivescovo di Milano. Io ero allievo. E scelsero me come direttore. Nel coro c’era anche Cristina, che poi sarebbe diventata mia moglie. Diressi lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti e il Magnificat di Antonio Vivaldi. Ho suonato poi davanti a Giovanni Paolo II, carismatico, fascinoso, profondo. L’ultima volta che ho diretto davanti a un Papa era per Benedetto XVI, quando mi diede l’onorificenza di San Gregorio Magno. Era maggio del 2012. Con orchestra e coro dell’Opera di Roma, che allora guidavo, diressi il Magnificat di Vivaldi insieme a Stabat Mater e Te Deum dai Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi. Al termine dell’esecuzione papa Ratzinger improvvisò una lectio magistralis su questi due grandi autori. Conoscevo il suo profondo amore per la musica, la sua competenza, ma in quell’occasione rimasi davvero stupito».
Ora papa Leone.
«Ciò che dice, in particolare per quel che riguarda un ritorno alla spiritualità, mi trova sempre profondamente d’accordo. Lo scorso giugno a Ravenna abbiamo radunato oltre 3mila coristi con il motto Cantare amantis est, frase di Sant’Agostino. E questo mi rende ancora più vicino il Papa. Spero molto nella sua azione nel mondo, anche dal punto di vista politico».
Il pontefice le conferirà il premio Ratzinger.
«Sono davvero felice di riceverlo. Perché nel nome di papa Bendetto XVI. Quando ormai viveva presso il monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, le suore che lo accudivano gli lessero uno dei miei libri, l’Infinito tra le note, titolo che riprende una frase di Mozart, per dire che tra una nota e l’altra c’è il mistero. Lui, ormai fragile fisicamente, ma vivacissimo di intelligenza come sempre, mi mandò a chiamare, per andare a trovarlo. Andai a Roma con Cristina e mi intrattenni con lui per un’ora a parlare. Parlammo delle regie dissacranti su Mozart. Ricordo ancora i suoi occhi, profondi nella sua fragilità. Conservo gelosamente l’ultima frase che mi disse, mentre mi congedavo da lui: Lasciamolo riposare in pace il povero Mozart».
Mozart, Cherubini… Oggi c’è bisogno della spiritualità di cui questa musica è intrisa?
«Penso che l’assenza di spiritualità possa portare difficoltà di comprensione di un testo. Se uno non sente quel qualcosa di eterno che c’è dentro di noi, forse non può esprimere fino in fondo la profonda spiritualità di certe pagine. Eseguo note, certo, anche benissimo, ma non entro nella loro spiritualità».
Cosa si augura per il prossimo Natale?
«Oggi si fanno le statistiche di quanti italiani andranno in vacanza, si accendono luci con mesi di anticipo, si fa la corsa al regalo più costoso. Ma il Natale dovrebbe essere il Natale dei poveri, Cristo è nato povero. Mi auguro un Natale che faccia sperare, un Natale che possa davvero portare pace nel mondo che è sull’orlo del disastro. Dobbiamo rimettere al centro del nostro Natale quelli che il Natale lo vedono solo attraverso le luminarie e le vetrine. Considerando che si spendono miliardi per le armi, per distruggere villaggi, dovremmo rimettere al centro il Natale di Cristo per curare il nostro mondo che Pascoli chiamava atomo opaco del male. Togliamo un po’ di opacità e un po’ di male da questo nostro mondo. Questo il mio augurio per il prossimo Natale».
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