È battaglia per la Warner Bros: in gioco ci sono streaming e diritti tv
Uno scontro industriale e politico è al centro del contendere tra Netflix e Paramount, che sarebbe sostenuta anche dalla Casa Bianca. Entro il 2027 lo streaming supererà per ricavi la tv lineare

Per comprendere le scosse telluriche che stanno attraversando l’industria mondiale dei media occorre partire da un dato strutturale: lo streaming corre più della televisione tradizionale. Il Global Entertainment & Media Outlook 2025–2029 di PwC fotografa una tendenza ormai irreversibile: negli Stati Uniti l’over-the-top, ovvero lo streaming, supererà per ricavi la tv lineare entro il 2027, con un mercato che, pur crescendo “solo” del 4% annuo negli abbonati, continua ad avanzare a un ritmo vicino al 6% e che nel 2029 potrebbe toccare 112,7 miliardi di dollari, quasi metà del totale globale. Anche in Italia l’evoluzione è segnata: un tasso di crescita annua CAGR del 3,1% dovrebbe portare i ricavi dell’audiovisivo a 60,8 miliardi di euro entro il 2029.
È in questo scenario che si inserisce la decisione, sorprendente per tempi e dimensioni, con cui Warner Bros Discovery (Wbd) ha accettato l’offerta azionaria da 72 miliardi di dollari avanzata da Netflix per acquisire gli studi e le attività televisive, cinematografiche e di streaming, inclusi i gioielli di casa Hbo. Un annuncio arrivato nelle prime ore di venerdì, a poche ore dalla presentazione londinese del nuovo palinsesto Hbo Max guidata dal CEO Casey Bloys, durante la quale era stato confermato anche il debutto di HBO Max Italia dal 13 gennaio: un progetto destinato, fino a ieri, a competere direttamente con l’offerta intrattenimento e sport di Sky grazie ai titoli di punta – dal Trono di Spade a The Pitt, da Harry Potter ai contenuti DC – e ai diritti sportivi di Roland Garros e Australian Open, oltre alle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina attraverso Eurosport. Tutti asset che, in caso di via libera definitivo, finirebbero sotto l’ombrello Netflix.
Ma la partita è tutt’altro che chiusa. Paramount ha scelto di rilanciare lunedì con un’offerta ostile da 108 miliardi di dollari per l’intera Warner Bros, sostenuta dai fondi sovrani di Arabia Saudita, Qatar e Abu Dhabi, oltre che dal private equity Affinity Partner guidato da Jared Kushner, genero di Donald Trump. Una controfferta presentata come più vantaggiosa per gli azionisti – «18 miliardi in più in contanti rispetto a Netflix», sottolinea il ceo David Ellison – e per Hollywood, che vede nella fusione con la piattaforma leader dello streaming una minaccia alla struttura del settore. Ellison non risparmia critiche: l’offerta di Netflix sarebbe «inferiore e anticoncorrenziale», e rischierebbe di ridurre drasticamente la produzione cinematografica in sala, mentre Paramount promette oltre 30 film l’anno distribuiti nei cinema.
Dietro lo scontro industriale si intravede anche quello politico. L’antitrust statunitense guarda con crescente sospetto una possibile concentrazione fra Netflix e i contenuti di Warner, e Donald Trump – la cui amministrazione potrebbe dover valutare il dossier – ha già fatto sapere che «Netflix ha una grande quota di mercato e quando avrà Warner Bros crescerà ancora. Potrebbe essere un problema». La Casa Bianca, secondo varie ricostruzioni, vedrebbe con maggior favore la proposta di Paramount, anche per i rapporti fra Trump e Larry Ellison. Tentativi di persuasione sono arrivati anche da Ted Sarandos, co-ceo di Netflix, che nelle ultime settimane ha incontrato il presidente per ribadire che la piattaforma non è un monopolio. Argomentazioni che però non sembrano aver convinto fino in fondo Washington.
Anche dal Congresso e dai sindacati di Hollywood è arrivato un coro di critiche bipartisan. I democratici temono che la fusione Paramount-Warner crei un gigante del cavo con una quota di mercato persino superiore a quella di Disney, mentre l’asse Netflix-Warner sarebbe, a loro giudizio, foriero di tagli, rincari e ulteriore spinta verso lo streaming a discapito delle sale. Timori condivisi anche in Italia: l’Anec, l’associazione degli esercenti, invita a valutare con la massima attenzione ogni operazione di concentrazione e chiede un confronto istituzionale affinché «la diversità dei contenuti e la centralità della sala restino pilastri del settore». Rivolgendo un appello al ministro della Cultura Alessandro Giuli e alla sottosegretaria Lucia Borgonzoni «affinché promuovano un confronto istituzionale per avviare un più ampio dibattito a livello europeo».
Il futuro della “nuova Hollywood” si gioca dunque su un doppio crinale: quello del mercato globale, che corre verso ulteriori concentrazioni, e quello dei regolatori, chiamati a stabilire quanto potere un singolo attore possa avere nel definire ciò che il mondo guarda. Una partita che non riguarda solo gli Stati Uniti, ma l’intero ecosistema audiovisivo internazionale.
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