Fallimenti e disoccupazione: in Germania c'è la "tempesta perfetta"
di Vincenzo Savignano, Berlino
In un anno 22mila aziende sono state chiuse e oltre 280mila persone in più rispetto al 2024 hanno perso il posto di lavoro. L'effetto domino ha colpito i settori auto, la meccanica e la siderurgia. Gli analisti: la politica intervenga, le riforme sono urgenti

«Sono qui da 39 anni e questo è il mio ultimo giorno di lavoro. Non avrei mai immaginato che tutto questo potesse accadere» racconta Bernd operaio dell’azienda di utensili meccanici di Laichingen che, dopo 125 anni, chiuderà i battenti. L’azienda aveva lo stesso nome della cittadina del land del Baden Württemberg, era il suo simbolo, il suo orgoglio. «Fino a pochi anni fa bisognava rinunciare a delle consegne per il troppo lavoro, ora è finito tutto» aggiunge sconfortato Bernd, che come tutti i 100 dipendenti, dovrà dire addio all’azienda dichiarata insolvente, incapace di ripianare i debiti. «Abbiamo cercato di salvare l’azienda attraverso prestiti bancari e nuovi investitori, niente da fare – spiega Martin Mucha, nominato curatore fallimentare dell’azienda di Laichingen –: nella regione di Stoccarda la situazione è drammatica: centinaia le insolvenze, migliaia i disoccupati, è incredibile, fino a pochi anni fa questa era una delle zone più ricche e produttive di Germania e d’Europa».
Quello che è accaduto alla storica azienda di Laichingen è stato vissuto nel 2025, secondo la Camera di commercio e industria Dihk, da almeno 22mila aziende, piccole, medie e grandi di tutta la Germania. Ovunque, senza distinzioni territoriali, est, ovest, nord, sud, la crisi economica ed industriale si sta abbattendo sulla Repubblica federale tedesca, senza pietà. Secondo una delle principali agenzie di informazione commerciale, Creditreform, le aziende insolventi sarebbero anche di più, 23.900. Si tratta del 23% di insolvenze in più rispetto all’anno precedente e tradotto in termini di posti di lavoro: oltre 280mila disoccupati in più rispetto al 2024. L’impatto sull’economia è considerevole: le perdite derivanti da crediti inesigibili di aziende insolventi superano i 57 miliardi di euro. Analisti ed economisti l’hanno definita la "tempesta perfetta": le cause principali del boom di insolvenze sono i costi energetici altissimi, la burocrazia soffocante e un crollo della domanda globale. A tutto questo si sono aggiunti la concorrenza dell’estremo oriente, in particolare della Cina, la guerra dei dazi con gli Stati Uniti e poi anche il “Green Deal”, che sta penalizzando l’industria tradizionale tedesca, in particolare i settori automobilistico, siderurgico e componentistica, a favore di settori “green” meno produttivi e dipendenti dai sussidi. Inoltre si registra anche una carenza di investimenti interni ed esteri.
«Rispetto ad alcuni anni fa è molto difficile se non impossibile trovare un investitore tedesco od estero disposto a salvare o ad aiutare un’azienda tedesca in crisi» spiega Mucha. In particolare nei settori auto, meccanico e siderurgico si è innescato una sorta di effetto domino: prima la crisi dei grandi colossi automobilistici, Volkswagen, Mercedes-Benz, Porsche, quindi i giganti della componentistica, Bosch e ZF, infine tutto l’indotto. Solo nel settore automobilistico in un anno sono andati persi quasi 50mila posti di lavoro. L’ultimo ad iscriversi nella classifica dei tagli è stato il produttore di camion e autobus Man, che ha annunciato una riduzione del personale di 2.300 unità. Ma si registrano cali di produzione, tagli e insolvenze di aziende anche nella meccanica, nella produzione dei metalli e di apparecchiature per l’elaborazione dati, di prodotti elettronici e ottici. Chiusure ed insolvenze anche per cliniche ed ospedali. Resistono ancora il manifatturiero e l’alimentare. Si punta sulle nuove tecnologie, sulla digitalizzazione e deburocratizzazione del Paese, ma la svolta agognata dall’economia e promessa dalla politica non arriva.
«In alcuni settori siamo al nono trimestre consecutivo senza alcun segnale di crescita. La politica deve realizzare riforme urgenti, ad esempio in materia di previdenza sociale. Altrimenti, i costi continueranno a salire, soprattutto per le aziende con molta manodopera» sottolinea Dihk Volker Treier, analista capo della Camera di Commercio ed Industria. Alcuni giorni prima era stato Peter Leibiger, presidente del Bdi, della Confindustria tedesca, a lanciare l’allarme, forse il più preoccupante di tutti: «L’economia tedesca sta attraversando la crisi più profonda dalla fondazione della Repubblica Federale, ma il governo non sta reagendo con sufficiente decisione». Meno catastrofista il famoso economista Marcel Fratzscher, presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw): «Le insolvenze non devono essere viste solo come un dramma, ma come uno strumento necessario per il rinnovamento e il dinamismo economico».
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