Le tante promesse ancora vive del Concilio Vaticano II

Dobbiamo ringraziare la Chiesa per il cammino compiuto senza temere di riconoscere quello che ancora c’è da realizzare. Il mondo in 60 anni è cambiato enormemente e durissime sono le nuove sfide
December 9, 2025
Le tante promesse ancora vive del Concilio Vaticano II
Il portale della Basilica di san Pietro con il bassorilievo che ricorda la apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II/ SICILIANI
Quella del Concilio sarebbe ormai l’età di un nonno: sessant’anni dalla sua venuta alla luce, l’8 dicembre del 1965. Se consideriamo, però, il giovanilismo attuale, dobbiamo concludere che sì, il Concilio è datato purtuttavia ancora un po’ incompiuto, tale da poter dire che si trovi in stato di «sessantescenza»! Vale la pena dunque riflettere sulla sua maturità senza dimenticare le tante promesse che ancora si annidano nella sua giovane anima. Tre sono gli ambiti che ci sembrano essenziali: quello ecclesiale/liturgico, quello culturale, quello politico. Il primo – nelle Costituzioni Sacrosantum Concilium e Lumen Gentium – ha dato l’immagine del mutamento d’epoca che il Concilio ha operato: da una Chiesa rivolta verso l’alto, a un’Assemblea che celebra la sua fede in modo circolare ancorché con ministeri distinti. Ricalco di quella delle origini, plasticamente promossa nella Lettera agli Efesini: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timor del Signore», siate, cioè, a braccetto gli uni con gli altri, di fronte al Signore, come una Sposa alleata del suo Sposo. L’altare rivolto verso l’assemblea rispecchia il sacerdozio universale dei fedeli, i quali crescono nella consapevolezza di essere tutti membra di un unico corpo di cui il Signore è Capo. Ogni preghiera, ogni liturgia, è sempre un atto ecclesiale, collettivo e mai potrebbe essere una devozione privata. Ecco allora che il Concilio accantona una lingua chiusa, oscura alla gente ‒ com’era da secoli divenuta quella latina ‒ per adottare le lingue vive di tutto il mondo. Senza la traduzione non c’è opera dello Spirito e senza la presenza dello Spirito non c’è culto possibile nella Chiesa Cattolica. Perciò si deve passare dall’ambito cultuale a quello culturale per cui il Concilio ha protetto la Chiesa dal rischio di una deriva spiritualistica, di una religiosità astratta dalla realtà. I cattolici dovevano essere messi in grado di rendere ragione della loro fede e dovevano, pertanto, conoscere l’alfabeto della stessa, vale a dire le Scritture. Con la Costituzione Dei Verbum si stabiliva la necessità della lettura ed anche dello studio e dell’interpretazione della Bibbia. Impegno prezioso che ha permesso alla Chiesa di formarsi vieppiù un’identità dettata dalla Parola e dalla Testimonianza del Vangelo, sua memoria e missione originaria. Una missione che congiunge, quindi, all’ambito politico la rivoluzione copernicana compiuta dalla Chiesa col Concilio: non più versus il mondo ma aperta, accanto, nel mondo, insieme al mondo. La Costituzione su La Chiesa nel mondo contemporaneo ha segnato concretamente questa svolta: l’opera dei laici è politica, è fermento della società, nel mondo del lavoro, è testimonianza di un modello economico per cui «tra loro non c’è nessun bisognoso» (At 4,34). Il post-Concilio ha visto, via via, la Chiesa svincolarsi dalle rovinose complicità rispetto ai vari regimi e governi che in passato, s’era spesso trovata ad accettare o a subire. Essa è stata sempre più libera e coraggiosa nel reclamare e operare la giustizia, la solidarietà, la pace. È «uscita nelle periferie» per essere quell’ «ospedale da campo» tanto caro a Papa Francesco. Le sue mani operose restano ovunque accanto ai bambini ancora vittime di «inutili stragi»; la sua voce critica è ferma e salda nel giudicare tra il bene e il male.
Per tutto ciò e molto altro siamo a ringraziare la Chiesa del Concilio senza temere di riconoscere, certo, quello che ancora c’è da realizzare. Il mondo è, nel frattempo, cambiato enormemente e durissime sono le nuove sfide. Nell’ambito politico la Chiesa deve rafforzare il suo grido come fa Papa Leone XIV, dicendo: «La pace è possibile!». I cattolici insieme agli altri cristiani e alle donne e agli uomini delle altre religioni e a tutti quelli di buona volontà, possono rendere la pace possibile. Nell’ambito culturale ancora molto c’è da fare, ci sono secoli di ignoranza della storia e delle Scritture, che devono essere trasformati in memoria per poter aprire nel mondo un’intelligenza di salvezza. E, infine, nell’ambito ecclesiale/liturgico la Chiesa non deve aver paura dei carismi sempre nuovi che lo Spirito dona per «servire» il mondo. Occorre coniugare l’aspetto religioso con quello pratico, esistenziale, intellettuale e politico, così da non cadere nell’insignificanza e nell’inefficacia rispetto alla vita concreta della gente. Specialmente in Europa dove sembra che i valori fondativi della sua civiltà stiano scomparendo. Occorre che la Chiesa Cattolica custodisca, dia esempio, testimoni la «Bontà» cristiana e apra a nuove visioni e incarnazioni per una società imprigionata nella crisi demografica, nella paura dell’ospite, nella solitudine, nell’individualismo, nel cinismo, nel nichilismo, con diseguaglianze vergognose, dove il valore della persona viene violato a prezzo di mercato. Auguriamo oggi alla Chiesa di guardare con fiducia al presente, di non riavvolgersi nei lifting di restauro del passato, di non temere le indispensabili riforme, le tante primavere che possono accadere con i germogli di carismi e ministeri mai sbocciati prima. Lo deve, come una dolce, saggia e amabile nonna, ai sogni dei nipoti e pronipoti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA