Tutta la storia del pomodoro cinese dall'inizio
di Andrea Zaghi
Nei primi nove mesi dell’anno è calato da 75 a 13 milioni di dollari il valore delle esportazioni dalla Cina verso l’Italia. Ma l’abbondanza di prodotto a livello mondiale influisce su flussi e mercati

Uno tsunami rosso pomodoro. È quanto si aspettano gli osservatori del mercato mondiale del concentrato di pomodoro dopo il crollo delle esportazioni di questo prodotto dalla Cina verso l’Europa e l’Italia. Uno tsunami che scatenerebbe tensioni sui prezzi mondiali e che in qualche modo farebbe male a tutti. Perché se quanto emerso pochi giorni fa – e cioè la fortissima diminuzione degli arrivi di prodotto cinese – è da un lato certamente cosa buona, dall’altro l’accumularsi di scorte gigantesche nei magazzini cinesi deve destare più di una preoccupazione. La questione dei pomodori cinesi risale al 2021 quando i carabinieri scovarono partite di pomodoro etichettato Made in Italy ma con materia prima in arrivo dalla Cina. In difesa del buon nome e soprattutto della qualità superiore del pomodoro italiano si sono quindi scatenati – con ragione – consumatori e coltivatori diretti ma anche gli industriali. Questione di tecniche produttive ma anche di regole di lavoro che sarebbero disattese dai cinesi. Una mobilitazione che ha condotto ai risultati di questi ultimi mesi, riconosciuti pure dal Financial Times e “certificati” dalle dogane cinesi che indicano per i primi nove mesi del 2025 un valore delle esportazioni di pomodori trasformati verso l’Italia sotto i 13 milioni di dollari rispetto agli oltre 75 milioni di dollari dello stesso periodo del 2024. Detto in altri termini, si tratta di un crollo del 76% delle vendite cinesi di concentrato in Italia e del 67% per l’Europa. Il risultato? I cinesi sono stati “fermati” ma, stando a Tomato News, un portale specializzato nel monitoraggio dei mercati mondiali di pomodoro, la Cina avrebbe adesso scorte di concentrato equivalenti a sei mesi di esportazioni: 600-700mila tonnellate.
«Grazie a questa pressione continua – dice oggi Coldiretti – siamo riusciti a far crollare le importazioni di pomodoro cinese, difendendo la nostra filiera e impedendo l’inganno ai danni dei consumatori e del made in Italy. Un risultato importante, ma la battaglia non è conclusa. Adesso dobbiamo proseguire con la stessa determinazione per eliminare l’inganno del codice doganale, che ancora oggi permette di spacciare per italiano ciò che italiano non è». Un risultato riconosciuto anche dagli industriali come Mutti che nei mesi scorsi avevano anche chiesto l’attivazione di forti dazi sugli arrivi di concentrato cinese. E adesso? I problemi da risolvere non sono solo quelli doganali. Anche se il mercato interno è tutto sommato al sicuro. Nel corso della recente Tomato News Conference 2025, le questioni sono emerse tutte: l’abbondanza di prodotto a livello mondiale, la necessità di diminuire i raccolti e, appunto la situazione della Cina che sta spostando la sua attenzione dall’Europa ad altri mercati. Anzi di più. Le esportazioni cinesi sarebbero in realtà in stallo un po’ ovunque. Con sulle spalle adesso scorte che in qualche modo dovranno essere ricollocate e un’intera area produttiva, quella dello Xinjiang, costruita per esportare.
Giovanni De Angelis direttore generale Anicav (che raccoglie in Italia le industrie di trasformazione) spiega: «A livello globale, i principali produttori di concentrato sono California e Cina, con una crescita significativa anche dell’Egitto, a cui aggiungere i nostri competitor europei : Spagna e Portogallo». Certo, si tratta anche di distinguere il prodotto in base alla sua qualità: un elemento che vede vincere certamente l’Italia. Una condizione che potrebbe però non bastare. Ancora De Angelis sottolinea: «Anche se l’Italia non è presente in maniera significativa in questo segmento produttivo, il nostro concentrato è di grandissima qualità ed è minacciato dalle produzioni a basso costo degli altri Paesi. Il mercato ci riconosce una qualità superiore, ma questo vantaggio ha un limite. Per restare competitivi dobbiamo lavorare su tutta la filiera per ridurre i costi, senza abbassare la qualità che ci rende leader nel mondo». Traguardo adesso urgente da raggiungere per un comparto che vale miliardi di euro. Anche perché, intanto, l’Italia con 5,8 milioni di tonnellate di prodotto, è tornata ad essere il secondo Paese trasformatore di pomodoro a livello mondiale dopo gli Stati Uniti e prima della Cina.
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