Hamas è stato colpito ma non affondato: ora è al bivio tra politica e lotta armata
di Luca Foschi
Due mesi dopo la tregua siglata a fatica con Israele, il movimento dei guerriglieri resta la prima opzione di voto per i palestinesi, davanti a Fatah. Migliaia di uomini sono stati uccisi dall'Idf, ma altrettanti sono pronti a prenderne il posto. E l'ipotesi del disarmo affiora, insieme alla richiesta di ritiro totale delle truppe di Tel Aviv dalla Striscia

Indebolito, fragile, ferito, ma intenzionato a sopravvivere come attore politico nel futuro di Gaza e della Palestina. Hamas emerge ancora in piedi al posarsi della polvere nella Striscia devastata, e dà ragione ai molti analisti, anche israeliani, che negavano la possibilità di annichilire il movimento islamico con le bombe e la carestia.
Fin dalle ore immediatamente successive alla sottoscrizione degli accordi sul cessate il fuoco, miliziani e agenti di polizia protetti da passamontagna sono usciti dai tunnel, dai nascondigli e dagli abiti civili per rioccupare le strade. L’unità speciale Radeh si è dedicata a colpire tutti i gruppi armati palestinesi cresciuti nell’anarchia e sostenuti in segreto dai servizi israeliani. I video delle esecuzioni sommarie hanno reso se possibile più rapida, chiara e diffusa la riconquista del monopolio assoluto della violenza, almeno nel 47% del territorio restituito ad Hamas dagli accordi di Sharm el-Sheikh.
Nei primi giorni di settembre un altro video riaffermava la presenza del movimento nei fondamenti della vita comunitaria: un gruppo di uomini incappucciati bastonava selvaggiamente i mercanti di Khan Yunis, colpevoli di aver risposto al logoramento delle banconote con il forzoso ritorno al baratto. Oggi, riportano alcuni uomini d’affari, gli ufficiali di Hamas hanno ripreso a tassare l’importazione di beni considerati di lusso. Ai check-point, raccontano diversi residenti, i miliziani fermano, interrogano e arrestano. La polizia ha impedito che i camion carichi di aiuti venissero saccheggiati, così le case disabitate.
Migliaia di guerriglieri sono stati uccisi in due anni di guerra, ma fonti vicine allo Shin Bet, i servizi segreti interni israeliani, hanno riferito al “New York Times” che il numero degli operativi potrebbe aggirarsi intorno alle 20mila unità. La fascinazione per l’ostinata resistenza offerta all’onnipotente nemico e l’orrore della morte, che a Gaza ha colpito prevalentemente i civili, hanno riempito i ranghi. I razzi che per quasi 20 anni hanno minacciato il territorio israeliano sono sensibilmente diminuiti, ma l’arsenale di fucili, lanciarazzi a spalla ed esplosivi è ancora preservato nel labirinto dei tunnel, centinaia di chilometri di stanze e camminamenti solo in parte distrutti dalle forze armate israeliane.
«Siamo aperti a un approccio comprensivo che porti a evitare nuovi scontri ed escalation» ha affermato pochi giorni fa Bassem Naim, membro dell’ufficio politico di Hamas, avanzando per la prima volta l’idea che l’arsenale delle brigate al-Qassam possa essere «congelato o conservato». Husam Badran, altro importante funzionario del movimento, ha dichiarato che il gruppo è pronto a discutere la spinosa questione del disarmo, a patto che si affronti «seriamente» il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, la fine delle operazioni militari, la nascita di uno Stato palestinese a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Badran ha aggiunto che Hamas è disposto a permettere a un comitato di tecnocrati palestinesi di assumere il controllo amministrativo dell’enclave. L’abbandono, o meglio la guardinga sospensione della lotta armata, ma in cambio di un processo di pace privo di ambiguità.
La cessione di ciò che avanza dell’arsenale per preservare il sostegno popolare. Un’indagine pubblicata il 28 ottobre dal Center for Policy and Survey Research, guidato dal più importante sociologo palestinese, Khalil Shikaki, ha mostrato che il 66% dei palestinesi, sia a Gaza che in Cisgiordania, supporta l’idea di un governo tecnocratico palestinese nella Striscia. Se si dovesse votare oggi per l’elezione del Parlamento il 65% dei palestinesi si presenterebbe alle urne, il 44% voterebbe per Hamas, il 30% per Fatah e il 10% per altri partiti. Prospettiva inquietante per Israele, inaccettabile per l’attuale governo Netanyahu. Per Hamas il passaggio alla politica disarmata è forse l’unico funambolico percorso verso la sopravvivenza.
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