La Cgil alla prova della piazza. Ma lo sciopero senza unità perde peso

Oggi la mobilitazione voluta da Landini, che ha compiuto una metamorfosi in chiave politica. Il prezzo pagato, però, sono le divisioni del fronte sindacale. Sicurezza, sfruttamento, lavoro povero: su questi temi le tre organizzazioni confederali dovrebbero ritrovare la concordia perduta
December 12, 2025
La Cgil alla prova della piazza. Ma lo sciopero senza unità perde peso
È uno sciopero politico quello che andrà in scena oggi. Lo ha detto esplicitamente il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che ha chiesto ai lavoratori di fermarsi «per l’intera giornata», recita il manifesto di convocazione. Sciopero generale e sciopero politico, dunque. L’atto finale di un percorso che ha visto il sindacato di Corso Italia sposare sempre di più la voglia di piazza e la linea movimentista. Ne è passato di tempo, da quel 17 marzo 2023 in cui a parlare al congresso nazionale della Cgil di Landini era stata invitata la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Allora, si ragionò su una reciproca legittimazione per i due leader, ma tutto finì lì, davanti alla platea di Rimini. In mezzo c’è stata la non felice stagione referendaria, dai quesiti sul lavoro a quello sulla cittadinanza, che avrebbe dovuto e potuto coinvolgere di più la società civile, in tempi di scarsa partecipazione. Risultato non raggiunto. L’autunno, infine, è stato caratterizzato dalla scelta della mobilitazione permanente contro l’esecutivo, tra evocazioni di «rivolta sociale» e i cortei per Gaza.
È una metamorfosi, quella della Cgil di Landini, che però rischia di disinnescare già sin d’ora l’arma dello sciopero, strumento prezioso ma utilizzato troppe volte recentemente per tornare a essere davvero efficace. Un’opposizione al governo, di fatto, esiste già ed è quella portata avanti dalla minoranza parlamentare. Curiosamente la parabola seguita da Landini in questi anni è stata, nel metodo, esattamente opposta rispetto a quella portata avanti dalla segretaria del Pd, Elly Schlein, che si è sempre professata «testardamente unitaria». Mentre la leader del Nazareno ha fatto di tutto per unire, con molta fatica, il centrosinistra, dal Partito democratico a Italia Viva e ai Cinque stelle, fino al fianco sinistro di Alleanza Verdi sinistra, il segretario del sindacato è sembrato più voler dividere, facendo venir meno la linea della tradizionale unità sindacale: prima ha perso sintonia con la Cisl, poi con la Uil. Anche l’iniziativa di oggi è stata condotta in solitaria. In una fase come questa, la mancanza di coesione tra le organizzazioni sindacali pesa.
Il disagio sociale che c’è nel Paese avrebbe infatti bisogno di un ascolto profondo e di un dibattito vero, in grado di uscire dalle pur meritevoli sezioni dislocate sul territorio. Il lavoro povero, con il mancato adeguamento dei salari al costo della vita evidenziato anche dal presidente Mattarella, una manovra solida e di tenuta ma poco coraggiosa sul lato degli investimenti, le difficoltà evidenti dell’industria, legate a doppio filo a quel che accade in Germania, sono i capitoli di un’agenda sociale tutta da scrivere. Con proposte, e non solo proteste. È vero, parte di questa agenda sarà già al centro dei cortei di oggi, dove riecheggerà anche il “no” al riarmo che i lavoratori giustamente pronunceranno, visti gli impegni presi dal governo in sede europea e in sede Nato per i prossimi anni. Ma questo non basta
Il paradosso è che ci sono temi “a margine” ancora trascurati dal sindacato. I fondi del Pnrr termineranno nel 2026 e servono sin da subito risposte sul futuro del sistema-Paese, mentre tante vertenze di aziende sull’orlo della chiusura finiscono in archivio. Si fa troppo poco, in termini di mobilitazione, per la sicurezza sul lavoro. Non c’è lavoratore impegnato in prima linea nei cantieri e nelle fabbriche del Paese che non sottolinei come la stagione post-Covid sia stata segnata da un silenzioso patto, “più produttività e meno sicurezza”, che accomuna datori di lavoro e dipendenti in una logica all’insegna del massimo profitto rischiosa e mortalmente pericolosa, come testimoniano purtroppo tante recenti stragi sul lavoro. Allo stesso modo, nel settore dei servizi, dell’agricoltura e della ristorazione, il fiorire di nuovi e vecchi mestieri (rider, braccianti) intercettato peraltro assai meglio in termini di rappresentanza dalle sigle di base, dimostra che ci sono sacche di sfruttamento crescenti che vanno denunciate. Perché non pensare che su questi temi le tre organizzazioni confederali ritrovino la concordia perduta, magari attraverso iniziative simboliche che vadano oltre l’appuntamento del Primo Maggio? L’ultimo appunto non può non riguardare lo stato di salute delle relazioni tra i lavoratori: le tensioni ai sit-in e ai picchetti non sono mancate, lo stesso vale per lavoratori stranieri e operatori sindacali aggrediti. Per essere più forti e credibili, davanti al Paese, il mondo del lavoro deve tornare a essere una grande forza tranquilla. Oggi e non domani.

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