Non è il momento di mandare in pensione i diplomatici

L’arte della trattativa, che cerca soluzioni non solo tra interessi contrapposti, ma anche tra visioni del mondo, è un elemento cardine dei sistemi democratici moderni
December 12, 2025
Non è il momento di mandare in pensione i diplomatici
Papa Leone XIV nell'incontro con i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 16 maggio 2025/ SICILIANI
Ambasciatori e diplomatici sembrano essere diventati una categoria professionale superflua. In un momento in cui le sfere di influenza imperiale contrapposte sono alla ricerca di nuovi equilibri, lo strumento della mediazione appare spiazzato dalla volontà di potenza che è tornata a soffiare sul tavolo della Storia. I potenti del mondo ‒ Trump, Putin, Xi Jinping ‒ “contrattano” in prima persona, da posizioni di forza, interventi militari ed exit strategy. L’arte della trattativa, che cerca soluzioni non solo tra interessi contrapposti, ma anche tra visioni del mondo, della politica, della vita divergenti, è un elemento cardine dei nostri sistemi democratici moderni, fondati sull’idea che, non solo all’interno ma anche nelle relazioni tra Stati, al puro esercizio della forza vada sostituito, nel tempo ordinario ma anche nei momenti di crisi, un sistema di diritto basato su principi di ponderazione, equilibrio nella gestione degli interessi, moderazione dell’aggressività. Il numero in uscita della rivista Nuova Atlantide cerca di documentare come solo una concezione realista e “relativista” della politica sia il terreno che rende possibile l’azione diplomatica. Oggi la guerra e il conflitto economico sono tornati a essere esplicitamente i principali strumenti di regolazione “muscolare” dei rapporti internazionali, e su di essi aleggia spesso una legittimazione di “carattere religioso”, dalla Turchia alla Russia, da Israele alla Gaza dominata da Hamas, fino alle posizioni della destra americana che sostiene Trump. È solo una concezione laica, realista e non assolutista della politica il terreno perché la diplomazia renda possibili le mediazioni. Una politica con ambizioni “salvifiche” non può prevedere un dialogo tra diversi: se si vuole realizzare sulla Terra il “bene assoluto”, l’arte del compromesso è inaccettabile. «La morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole», ricordava nel 1987 l’allora cardinale Joseph Ratzinger, aggiungendo che «non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».
La mediazione non è amata dai messianismi secolari ma neppure da chi professa l’idea di una politica governata come un'azienda. Curtis Yarvin, uno degli intellettuali più citati dal vicepresidente americano J.D. Vance, presenza fissa nei media repubblicani, in un’intervista al New York Times ha teorizzato che il modello da seguire è quello delle grandi aziende che sono «monarchie in miniatura: funzionano perché qualcuno comanda e gli altri eseguono», mentre le istituzioni dello Stato sarebbero ormai aziende fallite, la democrazia una debole aristocrazia di esperti, giudici e professori. Sabino Cassese notava come «il Regno Unito e la Cina hanno affidato allo stesso architetto (Richard Rogers, ndr) il compito di progettare e costruire rispettivamente il quinto terminal dell’aeroporto di Heathrow a Londra e il terzo terminal dell’aeroporto di Pechino: il primo è stato costruito in vent’anni, il secondo in quattro». Il dirigismo, l’assenza di opposizione politica rendono certamente il gigante asiatico più rapido e anche più efficiente nella sua azione rispetto alla Vecchia Europa: “ripulire” un quartiere dei suoi abitanti e non dover rispettare vincoli ambientali per fare spazio a novità urbanistiche è molto meno problematico a Shanghai che a Londra, non essendo attive forme di tutela democratica. Liberismo hard (duro, ndr) e Partito unico su questo punto si trovano d’accordo. La politica, tuttavia, non è solo “arte del fare”, ma anche del prevedere, su larga scala e nei tempi lunghi, i suoi effetti generali sulla società: non sempre la fretta efficientista tiene conto di tutti i fattori e trova le soluzioni migliori. La democrazia è confronto tra maggioranza e minoranza, nel rispetto delle diversità, che nessuna emergenza può eliminare. E ha il suo specchio, in politica estera, proprio nel metodo della diplomazia. La politica è difesa di interessi generali, che permettano ai singoli, ai corpi sociali e ai popoli di perseguire pacificamente le proprie aspirazioni di bene. La diplomazia va collocata entro questi orizzonti, confinarla alla mera ratifica di “contratti” vantaggiosi in termini di relazioni globali significa umiliarla. E minare uno dei fondamenti della vita democratica.
Giorgio Vittadini è Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

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