Gutenberg esplora la costellazione Moby Dick
Moby Dick come costellazione di libri, immagini e forme: rileggere un classico come una stella sul mare del tempo

«Laggiù soffia!»: basta l’inizio della caccia finale per riportare alla mente una delle immagini più riconoscibili della modernità. Il nuovo "Gutenberg" del 12 dicembre 2025 parte da qui, da Moby Dick come costellazione culturale e simbolica. Non un romanzo soltanto, ma un continente. Alessandro Zaccuri apre il fascicolo raccontando come la Balena Bianca, nella sua ossessione di Achab, continui a parlarci: creatura-abisso, “grande Altro” con cui ogni lettore è chiamato a misurarsi. Nelle sue parole, Melville non immagina un mondo, «lo convoca» con autorità profetica, mettendo in scena un’umanità intera che si imbarca sul Pequod. Poi la voce di Vittorio Nocenzi, fondatore del Banco del Mutuo Soccorso, ricorda la composizione del brano Moby Dick: un “inno all’utopia umana”, nato come risposta musicale all’immagine universale della balena. Scrivere quel titolo, racconta, fu come lanciare «un arpione contro le onde della fantasia di tutti», inseguendo l’energia simbolica di una creatura che continua a generare visioni. Il viaggio dell'inserto culturale di "Avvenire" prosegue con Roberto Mussapi, che legge il romanzo come un poema epico, un discendere nel gorgo degli inferi: la balena come ventre, grotta, antro oracolare, sintesi di pesce arcaico e mammifero, luogo in cui l’uomo si specchia nella propria origine. Ismaele e Achab diventano polarità di una stessa attrazione verso l’enigma, mentre il mare – più ancora della balena – parla attraverso di loro. Da qui muove anche la riflessione di Eugenio Giannetta, che segue il filo delle Parole del mare di Piero Dorfles: da Melville a Hemingway, il mare come luogo di smarrimento, incontro e rivelazione. La navigazione diventa forma di pensiero, lessico quotidiano («siamo tutti nella stessa barca»), modo per dare figura a ciò che sfugge. In controluce, il libro Bute di Pascal Quignard mostra un altro navigante, il marinaio che si getta verso il canto delle sirene per ascoltare una voce che viene dal fondo: un’altra variante della stessa attrazione inquieta verso l’abisso. Chiude la sezione monografica Eugenio Raimondi, che racconta le sale di Palazzo Ducale di Genova con la mostra Moby Dick – La balena: edizioni, reperti, arte contemporanea e installazioni che attraversano secoli di rappresentazioni. Dai quaderni di Hokusai alle superfici bianche di Manzoni, Bonalumi, Simeti, Dadamaino, fino al video Of Whales di Wu Tsang, che prova a restituire il mondo dal punto di vista di una balena.

La sezione Percorsi si apre con Luigi Ghirri: nel testo di Corrado Benigni, le Polaroid ’79–’83, in mostra a Prato, rivelano un fotografo attento ai dettagli minimi, agli oggetti raccolti quasi per gioco, ai piccoli allestimenti domestici che diventano un modo di esplorare il rapporto fra realtà e finzione. Il passo successivo porta verso l’Europa orientale. Gianni Santamaria racconta Una storia russa di Jevhenija Kononenko, romanzo ucraino che attraversa lingue, distanze familiari e nodi irrisolti fra Ucraina e Russia. A questo si affianca la lettura di Roberto Carnero dedicata alle lezioni di Vladimir Nabokov sul Don Chisciotte, esercizio di scomposizione del testo cervantino che mostra come i grandi classici continuino a offrire strumenti per capire la contemporaneità. Un altro movimento conduce nel territorio della spiritualità femminile. Cristiana Dobner legge Ildegarda di Bingen attraverso il saggio di Paola Anna Maria Müller, dove la symphonia diventa chiave di una riflessione che tiene insieme corpo, percezione e parola. Elisa Badaracchi, invece, segue l’esperienza di Antonella Lumini, narrata nel segno di Maria Maddalena e del deserto come luogo di trasformazione interiore. Le ultime pagine riuniscono due figure della prima tradizione cristiana. Roberto Righetto presenta il volume Qiqajon dedicato a Basilio di Cesarea, ricostruendo la Basiliade come progetto di carità concreta e organizzata. Maurizio Schoepflin, di fronte ai testi di Tertulliano, mette in luce la forza della sua scrittura e la capacità di restituire la tensione morale dei cristiani delle origini.
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