venerdì 2 settembre 2011
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Mezz’ora prima del tramonto sugli argini delle paludi. All’alba, quando il volo degli aironi sembra sostenuto dalla bruma opalescente. Nel pomeriggio, quando la luce straripa e nei chiari brillano scaglie di sole. In ogni spicchio del giorno, in ogni chimera che aleggia sugli orizzonti liquidi, il silenzio e la quiete raccontano l’identità della laguna. Una natura all’apparenza sovrana, dove tutto è immoto e la calma è quasi primordiale. In realtà, un luogo in gran parte frutto della mano dell’uomo, dove da millenni tutto cambia e trascorre, come la luce che imporpora il tramonto. Isole annegate, città sommerse, terre che scompaiono e riaffiorano, spiagge in cammino verso il mare.La laguna di Venezia, la più estesa zona umida d’Italia, ha compiuto seimila anni. Prima della sua nascita la pianura veneta era separata dal mare da una fascia di dune create dagli apporti fluviali. L’abbassamento dei suoli e l’innalzamento del Mediterraneo provocarono l’allagamento delle aree alle spalle delle dune, trasformate in cordoni litoranei. Attraverso le foci dei fiumi il mare penetrò nelle paludi, rendendole salmastre. Un complesso ecosistema di specchi d’acqua, canali, isole, velme e barene (affioramenti più o meno stabili di terreno), prese vita e attirò l’uomo. In età tardo-romana nella parte settentrionale della laguna fiorì la città di Equilium; sotto la spinta delle invasioni nuove popolazioni raggiunsero queste isole, che nell’alto medioevo divennero uno dei principali centri del primo Dogado. Venezia, considerando la laguna patrimonio della città, adottò provvedimenti di conservazione e rigide norme affinché l’interesse privato non prevalesse su quello comune; realizzò opere per favorire l’afflusso d’acqua marina; avviò la costruzione dei murazzi a difesa del litorale; dislocò fuori dalla laguna le foci dei fiumi. Opere immani, che danno idea dell’importanza di questo ambiente per la Serenissima.Da secoli artefice dell’evoluzione di questo prezioso ecosistema, l’uomo è custode dei suoi fragili equilibri, sottoposti a dura prova negli ultimi decenni. Inquinamento da diossina (polo petrolchimico), moto ondoso, abbassamento dei fondali, erosione delle barene, isole in stato di abbandono, assenza di prospettive occupazionali, spopolamento: è la realtà che spesso si cela dietro il velo di un paesaggio straordinario e affascinante. Il Terzo millennio, tuttavia, ha portato molte novità e importanti progetti di sviluppo sono in corso di realizzazione.Dalle Fondamente Nove di Venezia basta una corsa in vaporetto per entrare in contatto con questo universo. Le prime a venirci incontro sono le isole della Certosa, di Sant’Andrea e delle Vignole. Già sede di un monastero di canonici agostiniani e poi di padri certosini, la Certosa è oggi investita da progetti di recupero integrale che la trasformeranno in un parco urbano. Nella vicina Sant’Erasmo si rinnova la vocazione di “orto di Venezia”, con le tradizionali coltivazioni di carciofi violetti, di cardi, di asparagi, ma anche realtà nuove, come la vigne del francese Michel Thoulouze, che dà un vino di qualità, chiamato Orto. A Sant’Erasmo opera anche il Lato Azzurro, un centro culturale di vacanza, che affianca i laboratori teatrali alle escursioni in laguna, l’archeologia all’educazione alla pace. Sulla punta meridionale dell’isola c’è la Torre Massimiliana, restaurata nel 2004 e divenuta sede di esposizioni d’arte ed eventi culturali. Sull’isola del Lazzaretto Nuovo, dove sostavano le merci e le persone in quarantena, operano associazioni, che hanno favorito il restauro degli edifici storici, come il cinquecentesco Tezon Grande, e organizzano campi di lavoro archeologici e iniziative di studio (l’isola ospiterà le sedi per attività di ricerca e didattiche con riferimento all’ambito lagunare). Verso ovest affiora il profilo di Murano, l’isola del vetro; a nord verdeggiano i cipressi di San Francesco del Deserto, isola di quiete e silenzio interamente occupata da un convento francescano, la cui fondazione viene fatta risalire al soggiorno di Francesco d’Assisi nel 1220, di ritorno dalla Palestina. La palude di Santa Caterina la separano dall’isola dei colori, Burano, identificata dal campanile sbilenco della parrocchiale di San Martino. Qui tutti possiedono una barca e una casa coloratissima, tassello sgargiante dell’identità multicolore dell’isola: facciate azzurro cielo, rosso scarlatto, giallo ocra e verde, in cui occhieggiano le cornici bianche delle finestre. Si dice che questa tradizione sia nata dal desiderio dei pescatori di riconoscere da lontano la propria casa, in realtà non è che un modo pittoresco, alla lettera, per distinguersi dagli altri. Il rio Giudecca è quello in cui si concentrano gli scorci più celebri di questa piccola Venezia, mentre il rio Mandracchio porta alla zona degli squeri, l’angolo più segreto dell’isola.La vicina Torcello ospitò uno dei primi insediamenti umani in laguna e conobbe tempi di grande splendore in cui gli abitanti raggiungevano le ventimila unità (oggi ne conta poche decine). Sulla piazzetta inerbata d’aspetto medievale si affacciano i Palazzi dell’Archivio e del Consiglio, un tempo sede del governo locale, la chiesa di Santa Fosca e la cattedrale di Santa Maria Assunta, fondata nel VII secolo e ristrutturata nelle forme attuali intorno al Mille. All’austera facciata in mattoni si contrappongono gli splendidi interni col pavimento musivo dell’XI secolo e i magnifici mosaici veneto-bizantini (IX-XIII secolo) del catino absidale e della controfacciata. Dalla cima dell’imponente campanile romanico lo sguardo si spinge sulle paludi lagunari, sul geroglifico di canali e ghebi, sulle barene coperte di salicornia, sugli specchi d’acqua libera, i chiari, in cui si riflettono i colori e i silenzi del mondo all’apparenza immobile della laguna.
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