sabato 3 novembre 2018
Sotto la minaccia degli austro-ungarici, la città lagunare durante il conflitto si prodigò per “impacchettare” i suoi capolavori e metterli al riparo. Regia Marina e popolo all'opera fianco a fianco
Il cavallo bronzeo di Bartolomeo Colleoni, dal libro “Obiettivo Grande Guerra” (Ufficio Storico della Marina Militare)

Il cavallo bronzeo di Bartolomeo Colleoni, dal libro “Obiettivo Grande Guerra” (Ufficio Storico della Marina Militare)

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Venezia, 1915: l’Italia entra nel primo conflitto mondiale. La città dei dogi è minacciata da terra, dal mare e soprattutto dal cielo. I piccoli e leggeri aerei austro-ungarici durante la guerra, che si gioca principalmente nel Mar Adriatico, arriveranno a sganciare sulla Serenissima oltre seicento bombe, ma il patrimonio culturale di questo museo a cielo aperto resterà intatto. E se le immagini di uno dei leoncini di Venezia imbrattato di rosso nel 2018 ha fatto il giro del mondo attraverso i social network, i blog e i giornali on line, cento anni fa, in piena Grande Guerra, cronisti come Umberto Fracchia raccontavano ben altre gesta: quelle dei veneziani, volontari e civili, che insieme agli ufficiali, ai sottufficiali e ai marinai faticarono per preservare centinaia di pezzi pregiati con l’obiettivo di far fruire ai posteri il patrimonio culturale di una città unica al mondo. Le imprese dei veneziani che fianco a fianco ai militari “impacchettano” e mettono in sicurezza le opere d’arte sono state immortalate nel 1917, un anno prima della conclusione del primo conflitto mondiale, quando l’Ufficio Speciale del ministero della Marina pubblicò una serie di monografie dal titolo La Marina Italiana nella Guerra europea. Si trattava di 64 pagine con oltre 100 illustrazioni. Ogni volume edito da Alfieri & Lacroix di Milano, costava 1,50 lire. L’intera opera fu tradotta in quattro lingue, francese, tedesco, inglese e spagnolo, e restò tra le più originali pubblicazioni mensili del tempo. Tra i dodici volumi uno intitolato Per la difesa di Venezia.

Tutte storie e immagini inedite e poco conosciute conservate presso la Fototeca dell’Ufficio storico della Marina Militare che nel 2016, in occasione delle celebrazioni per il centenario della Prima guerra mondiale, sono state raccolte in un volume dal titolo Obiettivo Grande Guerra. Gli scatti della Regia Marina sul fronte navale, aereo e terrestre. Qui sono ritratte le persone di buona volontà, uomini, giovani, ragazzi, ma anche donne, che non si tirarono indietro nel difendere Venezia e i suoi monumenti. Le opere furono sistemate a bordo di grandi imbarcazioni ancorate ai moli più sicuri per essere condotte lungo i canali di Venezia in luoghi sicuri e presidiati dagli uomini della Regia Marina per poi essere risistemate a guerra conclusa nella loro naturale collocazione. Dai documenti d’archivio emerge inol- tre come questa particolare attività di salvataggio comprendeva lo spostamento, al sicuro, tramite un sistema di carrucole, di capolavori come i pozzi di Palazzo Ducale. Le fotografie in bianco e nero ritraggono donne, bambini, giovani e adulti, militari e civili, impegnati a difendere la città e i suoi preziosi beni culturali. Ne sono un esempio le campane di San Marco che vennero condotte a bordo di una barca per il trasferimento in luogo sicuro e segreto. Anche il monumento equestre dedicato a Bartolomeo Colleoni, una statua bronzea di Andrea del Verrocchio, realizzata fra il 1480 e il 1488, eretta a Campo San Zanipolo, viene adagiata dai veneziani coordinati dagli ufficiali della Marina, su un fianco per poi essere trasportata fuori pericolo con un sistema di carrucole.

Lo stesso vale per gli interni delle chiese e dei palazzi a dimostrazione che l’eventuale perdita della Serenissima avrebbe significato riaprire l’Adriatico e il Mar Ionio alla flotta austroungarica. La città dei dogi, infatti, da sempre ha rappresentato l’ingresso che da Oriente conduce all’Occidente. Un nodo nevralgico tra l’Europa centrale e quella dell’Est. Dunque diventava importante non solo dal punto di vista strategico e geopolitico, ma anche civile, sociale e culturale, la difesa di tutta l’area lagunare. Tra i problemi fondamentali che dovettero affrontare i veneziani e l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, comandante del Dipartimento e della piazza marittima di Venezia, poi capo di Stato maggiore della Regia Marina, fu di trovare tutti gli espedienti necessari per evitare l’occupazione delle truppe nemiche. Così ci si ingegnò ad allestire ripari che modificarono il volto e l’aspetto di monumenti e chiese. Ad esempio fra un arco e l’altro, lungo il porticato di Palazzo Ducale, furono eretti grandi pilastri per reggere le facciate delle costruzioni. Nelle finestre erano state installate gabbie di travi. La nuova Loggetta del Sansovino, ai piedi del Campanile era stata interamente ricoperta con tavole, lastre di ferro e sacchi di sabbia mentre l’interno di San Marco era diventato simile all’interno di una fortezza, con bastioni e fasciature enormi.

«Moltiplicare e adattare le attività alle più svariate congiunture», fu la sintesi del pensiero dell’ammiraglio Thaon di Revel. Un concetto fatto proprio non solo dai marinai ma anche dalla popolazione che a tutti i costi per tutta la durata del conflitto si adoperò per non cedere neppure un pezzo del grande patrimonio culturale veneziano. Molte opere furono poi nascoste in profondi sotterranei e non mancarono momenti di tensione circa la decisione sul coprire o meno la Basilica con una grande tettoia. Per tre anni, dopo la stagione invernale, con l’arrivo della primavera e il miglioramento delle condizioni climatiche, puntualmente arrivavano nuovi bombardamenti. Per questo si discusse molto sulla necessità di coprire o meno i tesori d’arte sacra dentro e fuori la Basilica. All’interno, come nel caso dell’altare maggiore si optò per una soluzione fatta di sacchi di sabbia e pilastrini in legno. All’esterno invece si era pensato a una grande tettoia.

Infine si innalzò un bastione davanti alla facciata fino alle sue alte ghirlande. Si adottarono diversi espedienti inoltre per proteggere la struttura e le statue dell’iconostasi all’interno della Basilica di San Marco. La difficoltà riscontrata fu soprattutto quella di evitare che possibili bombardamenti colpissero la Basilica e che eventuali crolli potessero distruggere il tramezzo che separa la navata dal presbiterio, una sorta di “transenna a colonne” su cui furono messe in sicurezza anche le statue sovrastanti. I veneziani attraversarono momenti difficili, ma alla fine, nel 1918, arrivò la vittoria sul mare e non si esultò solo per la fine della guerra ma anche per chiese, monumenti, statue, quadri e altri beni culturali scampati al pericolo del saccheggio, o peggio, della distruzione.

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