martedì 27 agosto 2013
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Italo Calvino può essere una chiave di volta per scoprire i caratteri dell’uomo post­moderno, se lo si legge in una chiave filosofica, ma anche teologica. E la sua trilogia 'fiabesca', quella dei 'Nostri antenati', diventa un percorso 'esemplare' in questo senso, secondo un giovane studioso, Paolo Fedrigotti, classe 1981, docente di Storia della Filosofia e di Gnoseologia presso lo Studio Teologico accademico di Trento, già autore di saggi sul desiderio nella teologia di Teresa di Lisieux e sulla concezione dantesca della beatitudine. Ora, nella convinzione che «la letteratura abbia in sé la forza di superare infinitamente se stessa e che un’opera d’arte riesca, di conseguenza, a comunicare più di quanto il suo autore abbia pensato di poter esprimere», azzarda un percorso analitico e affascinante nella 'trilogia' calviniana , «oltrepassando la superficie dei tre scritti ed accostandoli, anzi come fossero una sorta 'di specchio deformante del reale' - deformante ma pure non lontano dal 'riverberare il vero', intravedendo dietro al 'velame' della loro trama il volto dell’uomo contemporaneo».Così, superando l’idea abbastanza diffusa che la 'trilogia' sia rivolta esclusivamente ai ragazzi per il suo carattere fiabesco e surreale, Paolo Fedrigotti avvia la sua ricerca chiarendo (e riferendosi in questo a Platone, Aristotele e Tommaso d’Aquino) come «alcuni racconti siano dotati, nella loro semplicità, di una forza singolare, difficile da inquadrare». E aggiunge: «In essi traspare qualcosa di autentico, di tanto provocante da costringerci ad un sorprendente quanto intenso esercizio decifrativo che parte dal loro testo per arrivare alla nostra vita e che, insieme, muove dalla nostra vita per penetrarne il testo».A legittimare questa ricerca è lo stesso Calvino che in un’intervista aveva detto: «Le mie narrazioni 'fiabesche' - è così che di solito vengono chiamate - si situano a metà strada tra il racconto filosofico e il racconto fantastico di tipo surrealista. Lo scrittore surrealista lascia parlare l’inconscio (diciamo: il gioco spontaneo d’immagini) e la ragione (il giudizio intellettuale) rimandano continuamente l’uno all’altra».Racconta anche che all’origine di ogni storia, da lui scritta, c’è un’immagine, «che gira per la testa, nata chissà dove e che mi porto dietro per anni». Fedrigotti così va alla ricerca di queste immagini e nel Visconte dimezzato si trova di fronte «un uomo diviso in se stesso, tagliato in due»; nel Barone Rampante , quella di un ragazzo che sale su un albero e viaggia per giorni e giorni, rifiutandosi di scendere; infine nel Cavaliere inesistente vede «uno che non c’è», un’armatura vuota, «uno che esiste solo a motivo della sua forza di volontà».Paolo Fedrigotti, per aiutarci a capire e a interpretare questi «tre piccoli capolavori», ha affidato ad un libro assai interessante e innovativo la sua ricerca, intitolandolo Tre storie, due mondi e un volto e aggiungendo come sottotitolo «spunti per una lettura filosofica di Calvino», edito da Cittadella (pagine 160, euro 13,80), seguendo «un ordine che sovverte le date di composizione delle tre storie ma che appare più 'logico' e più funzionale allo sviluppo del discorso', vale a dire quello di offrire all’uomo di oggi, che vive una sorta di 'dittatura del relativismo', nel primato del virtuale, una possibilità per indicare nuovi orizzonti di speranza. In questo è Calvino stesso a suggerire l’itinerario, quando scrive che ha voluto farne 'una trilogia d’esperienze sul come realizzarsi esseri umani: 'nel Cavaliere inesistente la conquista dell’essere, nel Visconte dimezzato l’aspirazione a una completezza al di là delle mutilazioni imposte dalla società, nel Barone Rampante una via verso una completezza non individualistica da raggiungere attraverso la fedeltà a un’autodeterminazione individuale: tre gradi d’approccio alla libertà».Ma a quale tipo di libertà può tendere l’uomo contemporaneo, per superare quella crisi dell’uomo postmoderno che appare evidente e ben dettagliata nei personaggi inventati da Calvino? Fedrigotti viaggia tra questi libri, convinto che «come i personaggi della 'Trilogia' anche l’uomo contemporaneo vive in bilico: emarginato ai bordi dell’universo in cui è costretto a sussistere senza un 'perché', egli si trova attualmente di fronte a un bivio, quello che propone l’alternativa radicale tra 'l’essere-di-più' e 'il­non- essere-mai più'. Così, se nel Cavaliere inesistente troviamo 'la difficoltà dell’uomo contemporaneo nel riconoscersi come essere corporeo ed insieme spirituale, come unità tra corpo e anima; nel Visconte dimezzato il problema ruota intorno alla realtà dell’individuo inteso come soggetto 'chiamato per natura' al confronto intenzionale con ciò che lo eccede». Si tratta di un uomo che è incapace di trovare relazioni con il reale, né sa comprendere quale posizione occupare nel cosmo. Indicativa e inattesa in questo senso è la chiusura del Barone Rampante, che ridimensiona, secondo Fedrigotti, la figura di Cosimo Piovasco di Rondò. Sulla stele della tomba di famiglia troviamo: «Visse sugli alberi. Amò sempre la terra. Salì in cielo». Commenta il giovane studioso: «Come Zaccheo, il 'ricco povero' del Vangelo di Luca, il protagonista calviniano decide di 'consegnarsi' ad altri per staccarsi dai rami e cambiare così vita: nel gesto di affidarsi alla fune della mongolfiera intravediamo il simbolo potente dell’abbandono dell’uomo a Dio e vi riconosciamo la più alta forma di relazione umana con l’Assoluto, quasi si trattasse di una 'seconda nascita', di un 'tornar bambini' in cui lo spirito d’infanzia riemerga, ma all’ennesima potenza».
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