mercoledì 22 dicembre 2021
Gli “unimals” sono esserini digitali 3D chiamati a superare ostacoli. Chi risolve i problemi implementa complessità fisica e intellettiva. Il corpo genera intelligenza tanto quanto la seconda il primo
Uno degli Unimals

Uno degli Unimals - Agrim Gupta/Stanford

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Una moltitudine di esseri improbabili come crostacei polipodi non ben definiti, attrezzati di “wurstel” snodati e distribuiti a raggiera intorno al corpo centrale, si muovono correndo, saltando, incespicando in tutte le direzioni in una finestra dal colore neutro tipica di ogni ambiente 3D. Loro, proprio loro, dimostrano che un dilemma filosofico, teologico, psicologico e anche fisiologico ha una risposta chiara e inconfutabile. Il corpo e la mente (anima per estensione lo aggiungo io) non sono entità separate, dislocate su una topografia definita e confinata, che ne relega le competenze ad ambiti specifici e separati. Il corpo e la mente sono due forme della medesima dimensione che si influenzano reciprocamente in uno scambio bidirezionale privo di gerarchie fisiche, meccaniche o etico-morali.

Incredibile a dirsi, la prova sperimentale di questa coincidenza tanto naturale quanto ostica ai nostri approcci ideologici, viene dal mondo digitale. Quello che indaga le intersezioni tra robotica, pensata come un agglomerato di parti rigide connesse da articolazioni comandate da azionatori, e intelligenza artificiale, quella che dovrebbe esserne la mente. Dentro un contesto di modellazione e animazione tridimensionale vengono creati degli organismi elementari, forniti di una dotazione basica di arti (i wurstel) e un nucleo dalla forma indifferente, al quale questi arti sono attaccati. Li si lascia quindi scorrazzare nell’ambiente che presenta tutte le proprietà essenziali della fisica “reale” inserendo gradualmente ostacoli e “oggetti” come problema motorio da superare.

Gli “unimals” (da universal animals) si sono rivelati in grado di risolvere le varie criticità loro presentate in percentuali e modi differenti come in una simulazione estremamente semplificata e velocizzata dei principi di evoluzione darwiniana. Ne consegue un processo di apprendimento definito deep evolutionary reinforcement learning (DERL). E questo potrebbe sembrare un dato scontato: anni di fantascienza ci hanno inoculato il concetto della macchina che impara da sé, trovando soluzioni specifiche al problema che incontra. In realtà la dinamica di apprendimento della macchina è tutta da esplorare e muove solo ora i suoi primi passi significativi.

Non è ancora stato creato un protocollo veramente soddisfacente di raccordo tra un meccanismo di qualche complessità, di cui il robot è rappresentazione classica, e la sua ipotetica intelligenza. Gli unimals studiati da Agrim Gupta della Stanford University e il suo team sono esattamente un prototipo in questa direzione, un prototipo primordiale capace di palesare tutte le tematiche fondamentali della relazione che intercorre tra corpo e intelligenza, evidenziando con la sperimentazione diretta quanto l’uno influenzi l’altra e viceversa.

Il luogo comune è ancora oggi che l’intelligenza sia una sorta di capo che controlla il corpo, trasmettendogli compiti, sensazioni e reazioni dentro una gerarchia chiara e cristallizzata. Gli unimals, così elementari e così esemplificativi, mostrano come questa sia una congettura del tutto artificiosa. Questi esseri primordiali sono in grado di dotare il loro apparato motorio di arti ulteriori e differenziati in grado di rispondere alle difficoltà via via presentate nello spazio che si trovano ad abitare e percorrere. Quelli che raggiungono una maggior complessità meccanica, un corpo maggiormente articolato, sono anche in grado di implementare il proprio “bagaglio intellettivo” proprio a partire dal nuovo armamentario disponibile. Il corpo genera intelligenza allo stesso modo in cui l’intelligenza influenza il corpo. Chiaro ed evidente.

Immagino che più di uno pensi agli unimals come alla stranezza di una specie di videogame. Non è così. Se il limite invalicabile del mondo digitale e della intelligenza artificiale che vi si impianta è la coscienza, la coscienza di esistenza umana per intendersi, è altrettanto vero che per tutto il resto il campo rimane aperto e totalmente contiguo a quello della corporeità, per così dire, analogica.

Il processo cognitivo di questi assemblaggi minimi di intelligenza e corpo è del tutto sovrapponibile al nostro perché deriva direttamente dal processo di simulazione del mondo che è alla base dell’universo digitale in tutte le sue forme. Gli unimals rappresentano nella sostanza e nel metodo la direzione attraverso cui si possono integrare la robotica “che si muove” e l’intelligenza artificiale, generando, proprio a imitazione di come siamo costituiti, non una unione di due parti, ma un unico insieme dentro cui si realizza l’incessante interscambio di funzioni motorie e intellettive, che si alimentano ed implementano reciprocamente nel corso delle procedure.

Il salto più sorprendente che compiono queste unità molto basiche della progettazione digitale non è comunque la capacità di imparare da zero (learn from scratch) attraverso l’esperienza, pure sorprendente, né quella di generare nuove membra come fossero lucertole con la loro coda, ma quello di saltare a pie’ pari secoli di speculazione facendo rotolare una sfera o spostando un cubo, permettendoci di intuire con l’esperienza quanto la dissezione del nostro intero in parti separate sia l’artificio di un pensiero limitato e fragile, tanto fragile da soccombere di fronte al primo “unimal” di turno.

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