domenica 8 dicembre 2024
L’arcivescovo di Parigi: «L’incendio ha fatto prendere coscienza a molti che l’attaccamento a Notre-Dame dice qualcosa della scintilla spirituale sempre presente nei cuori»
Laurent Ulrich, arcivescovo di Parigi

Laurent Ulrich, arcivescovo di Parigi - Ansa

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La gioia senza confini per una rinascita che commuove il mondo intero. A suscitarla, da mesi, è la riapertura annunciata della cattedrale di Notre-Dame, scrigno splendente della fede cattolica, così come simbolo dell’unità millenaria della Francia, nonché patrimonio dell’umanità. Dopo l’indimenticabile rogo del 15 aprile 2019, si tratta pure dell’epilogo di una gara di solidarietà internazionale che ha permesso di raccogliere ben 140 milioni di euro in più rispetto ai bisogni immediati della ricostruzione. Testimone in prima linea della rinascita, monsignor Laurent Ulrich, arcivescovo di Parigi, non nasconde l’emozione per l’attesissimo ritorno delle celebrazioni liturgiche sotto le volte più care ai francesi.

Monsignor Ulrich, quando ha compreso che la cattedrale stava rinascendo davvero dalle proprie ceneri?

«Molto presto, in realtà. Appena nominato arcivescovo di Parigi, fin dai primi giorni, mi sono recato sul cantiere per incontrare chi vi lavorava. E lì, ho percepito subito che stava accadendo qualcosa di unico. Ho visto la collaborazione fra imprese che erano d’altro canto concorrenti al di fuori del cantiere. Su tutti i volti, potevo leggere gioia e senso di responsabilità. Ho percepito pure la dinamica data dal generale Georgelin [primo responsabile del cantiere, ndr]. Grazie a tutto ciò, ho realizzato che era in corso la rinascita di Notre-Dame.

Incontrando i fedeli parigini e non, lungo la traversata verso la riapertura, quali sentimenti l’hanno più colpita?

«Fra i fedeli di Parigi, ho colto prima di tutto un sentimento d’attesa. Ma anche fuori da Parigi. Da due anni e mezzo, dappertutto, quando dico di essere l’arcivescovo di Parigi, il mio interlocutore chiede immediatamente: “Come va Notre-Dame?”. Per me, è il segno che per tanti Notre-Dame è un luogo a parte, dove ciascuno si sente accolto. È ciò che spiega pure l’ondata d’emozione la sera dell’incendio, l’attesa durante il cantiere e la gioia per la riapertura».

In questa riapertura, avverte eco del messaggio del Vangelo?

«Certo, e del resto i preti che avevano l’abitudine di celebrare la Messa a Notre-Dame prima dell’incendio, lo spiegano in un modo molto bello. I visitatori e i pellegrini non sono separati, poiché le visite proseguono durante i riti liturgici e i riti si svolgono durante le visite. Così, possiamo volgere uno sguardo diverso su queste folle che riempiono Notre-Dame. Sono per noi il segno della moltitudine, l’immagine del mondo che Dio ama e guida».

Questa traversata ha recato dei frutti spirituali particolari?

«Sì, mi pare evidente, e il più evidente di questi frutti è la gioia. La gioia di vedere questa cattedrale rinascere, la gioia che si legge sui volti di coloro che lavorano al cantiere, la gioia che provano contribuendo a un’opera utile, lavorando per qualcosa di più grande di loro, la gioia dei fedeli, dei preti, di ritrovare presto la loro cattedrale».

Pensa che il vuoto transitorio lasciato da Notre-Dame abbia potuto ispirare una riflessione, anche al di là dei credenti, sul posto del cristianesimo in Francia e in Europa?

«Penso che l’incendio abbia fatto prendere coscienza a molte persone che il loro attaccamento a Notre-Dame dice qualcosa della scintilla spirituale sempre presente nel cuore dell’uomo. Queste folle ammassate sulle rive della Senna la sera del 15 aprile 2019 non erano composte esclusivamente da cattolici o da credenti. Per me, è il segno che il cuore umano non può essere appagato dalla proposta, che ci viene fatta troppo spesso, di una vita in cui Dio sarebbe assente, rivolta solo verso il materialismo, il piacere, il consumo».

Il cantiere di ricostruzione reca un messaggio pure sulla laicità in Francia?

«Questo cantiere è l’illustrazione che in Francia è del tutto possibile concludere con successo un’impresa in cui la Chiesa e lo Stato lavorano di concerto, ciascuno nel suo ambito, in un reale mutuo rispetto».

In prossimità della riapertura, quali speranze la animano?

«Il mio augurio è che Notre-Dame, spalancando di nuovo le sue porte al mondo, possa essere un luogo d’incontro sempre possibile con Dio, di cui è la dimora. Un luogo d’incontro autentico pure fra tutti gli uomini e donne d’ogni origine e condizione che vi s’incroceranno. Il mio augurio è che possa essere un luogo per apprendere che la pace è a portata di mano». Cosa vuol dire ai pellegrini del mondo intero già pronti a recarsi in visita a Notre-Dame?

«Un messaggio molto semplice: venite! Chiunque voi siate e da dovunque veniate. Non siete solo attesi, ma sperati».

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