giovedì 19 marzo 2020
Padre Matteo Ferraldeschi ha "ritrovato" una antifona medievale in cui si invoca l'intercessione della Vergine contro il contagio. Una bella preghiera dalla storia misteriosa e dal contenuto prezioso
Un antico canto francescano a Maria contro la peste e le epidemie
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“Stella piissima del mare, soccorrici contro la peste / Ascoltaci: nulla infatti il Figlio tuo nega a coloro che onorano colei che ora ti supplica ancora”. Si chiude con questi versi, in latino, una antica antifona alla Madonna, intitolata Stella coeli intonata in occasione di pestilenze e contagi. Ne ha recentemente riproposta l’esecuzione gregoriana (disponibile nel video qui presentato) padre Matteo Ferraldeschi. Frate francescano minore, nato a Marsciano (Perugia) nel 1971, padre Matteo ha studiato canto gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma e presso il Conservatorio di Lugano e si è perfezionato con i maggiori specialisti. È inoltre fondatore dei corsi estivi di canto gregoriano ad Assisi e all’abbazia di Farfa in Sabina. Ecco il testo della preghiera:


“Stella coeli extirpavit, quae lactavit Dominum,
mortis pestem quam plantavit primus parens hominum.
Ipsa stella nunc dignetur sidera compescere,
quorum bella plebem caedunt dirae mortis ulcere.
O piissima stella maris, a peste succurre nobis.
Audi nos Domina, nam Filius tuus nihil negans te honorat.
Salva nos Jesu, pro quibus Virgo mater te orat”.


“La stella celeste che ha allattato il Signore estirpò la mortale peste che il padre degli uomini portò nel mondo. La stessa stella si degni di placare il cielo che incollerito affligge il popolo con le crudeli piaghe mortali. Stella piissima del mare, soccorrici contro la peste. Ascoltaci: nulla infatti il Figlio tuo nega a coloro che onorano colei che ora ti supplica ancora”.

(Il latinista Leonardo Paleari propone quest’altra e più letterale traduzione: “La Stella del Cielo, che allattò il Signore, / ha estirpato la peste mortale che il progenitore degli uomini portò nel mondo. / La stessa Stella si degni ora di domare gli astri, / le cui guerre affliggono il popolo con la piaga della crudele morte. / Clementissima Stella del mare, soccorrici contro la peste. / Ascoltaci o Signora, poiché tuo Figlio ti onora non negandoti nulla. / Gesù salvaci, poiché per noi la Vergine madre ti prega”.)

Il ritrovato canto dei tempi di pestilenza
Il testo è molto noto tra gli appassionati di liturgia, e soprattutto di liturgia serafica, ossia legata all’ordine francescano: almeno a partire dal XVIII secolo e certamente fino ai tempi del generalato di Bernardino da Portogruaro, questa preghiera è comparsa puntualmente tra le pagine di appendice del Breviario Romano serafico. La “Piissima antiphona et oratio contra luem contagiosam” (Devotissima antifona e preghiera contro la contagiosa peste) è divenuta così, con il passare del tempo, una delle più care pratiche di pietà dell’ordine serafico estesasi man mano in ogni dove. Ma a quando risale questa preghiera?

Il misterioso pellegrino di Coimbra
La fonte prima e unica a cui risalire per ricostruire la storia dell’antifona Stella coeli è il De origine Seraphicae Religionis Franciscanae scritto dal padre Francesco Gonzaga (1541-1620) a partire dal 1587. Francesco, dei Gonzaga di Gazzuolo e già ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, ne offre una genesi miracolosa nel terzo volume delle sue Cronache. È l’anno 1317: Coimbra, la florida città portoghese è piegata dalla peste. Il male misterioso e terribile sta mietendo strage e la paura regna sovrana. Lo sgomento arriva anche tra le clarisse del monastero di Santa Clara a Velha; nell’edificio maestoso voluto dalla pietà della regina Elisabetta le monache hanno ormai perso la serenità. Ogni preghiera è turbata dall’angoscia, aumentata ancor di più dal fatto che tutto il monastero è circondato da ammalati. La badessa è ormai pronta alla situazione estrema: aprire le grate e lasciare che le monache riparino altrove, sospendendo la clausura.
È in questo momento estremo – continua il Gonzaga – che si sente bussare. La portinaia apre ed ecco, davanti agli occhi è un mendicante lacero; le altre monache si affacciano: tutte notano l’estrema somiglianza dello sconosciuto con il san Bartolomeo raffigurato nel monastero. Il personaggio misterioso le conforta e consegna loro una carta: “Recitate questa preghiera, la Vergine vi proteggerà”. Le religiose aprono la carta e vi trovano scritto “Stella coeli extirpavit…”; da quel momento la preghiera aprì e chiuse le ore canoniche del mattino e del pomeriggio e, meraviglia, nel monastero e nei dintorni cessò ogni pericolo di contagio.

La tradizione manoscritta e la melodia
Fin qui la tradizione dell’Ordine francescano, quella cioè di un canto risalente al 1317, dal Portogallo. L’antifona conosce però una tradizione manoscritta, indagata anzitutto da Clemens Brume che negli Analecta Hymnica ricorda come le prime testimonianze siano da ricercarsi nell’Orazionale della Certosa di San Salvatore della nuova Luce di Utrecht, nei Paesi Bassi, testo risalente al 1477. L’antifona qui è preceduta da due strofe e in una versione più lunga rispetto a quella vulgata dai francescani. L’arrivo della stampa porterà ovviamente a una fissazione del testo, diffusosi nella forma breve.
L’antifona tornerà poi sotto la lente degli studiosi con Eliseo Bruning, l’autore del Cantuale Romano – Seraphicum. Nell’appendice critica il Bruning aggiunge qualcosa in più: le strofe “Audi nos…” e “Ave praeclara maris stella” sono debitrici di componimenti risalenti al XV secolo.
Il testo ormai si avviava a una sua versione definitiva, favorita anche dalla messa in canto da diversi artisti, come Johann Chilian Heller nel 1671 e ancor prima, nella prima metà dello stesso XVII secolo da Gregorio Pucciati, francescano osservante della provincia monastica toscana.
Difficile invece esprimersi sulla melodia che accompagna l’antifona. La versione recente e ormai diffusa è la semplice trasposizione della melodia Stella maris o Maria che il Bruning adopera per accompagnare anche l’O Francisce Christiforme, altro canto tipico della tradizione musicale francescana. Probabilmente il Bruning aveva ben presente la tradizione dei Recolletti (una delle famiglie francescane soggette al ministro generale degli osservanti) tedeschi che consegna una melodia dello Stella coeli nella loro Musices choralis medulla, stampata a Colonia nel 1670.

Il testo della preghiera, tra teologia e scienza antica
Maria appare anzitutto come la “stella del cielo”. Nel medioevo si pensava che l’ebraico Miryam rimandasse anche alla parola stella, e precisamente a “stella del mare”. La tradizione appariva indiscutibile anche perché attribuita a san Girolamo. In realtà Girolamo, basandosi su un versetto di Isaia (45,15) aveva diviso il nome ebraico in mar - yam, “goccia del mare”: “stilla maris”, che però nello stile degli amanuensi divenne “stella maris”. In ogni caso il parallelismo tra Maria e le stelle si diffuse ampiamente e fin dai tempi antichi. In questo testo il ricorso a Maria intesa come stella celeste è però funzionale a un altro concetto: Maria è la stella favorevole capace di fermare le stelle fatali che causano la peste.
L’antifona ci mette così dinanzi a una delle più diffuse credenze del medioevo: si riteneva allora che la peste fosse causata da particolari congiunzioni astronomiche. Credenza suffragata dal parere della Facoltà medica di Parigi che spiegava la famigerata peste del XIV secolo distinguendo tra una causa prossima (gli effluvi corrotti nell’atmosfera, capaci a loro volta di corrompere il corpo) e una causa remota: la congiunzione astrale dei pianeti freddi nella costellazione dell’Acquario nel marzo del 1345.
Resta in ogni caso intatta la bellezza teologica del testo, tanto più bello perché semplice. Maria è la donna prefigurata nella Genesi, capace di fermare la morte entrata nel mondo con il peccato di Adamo. Lei che ha generato il Signore, ora è la stella propizia perché il popolo cristiano sia salvato dalla peste. L’antifona si chiude quindi con la speranza della intercessione di Maria. L’orante sconosciuto che ha scritto il testo ha ben presente la scena di Cana: il Figlio mai negherà nulla a sua madre. Una speranza che per la fede è certezza e che dà ancor più fascino a quest’antica antifona oggi riscoperta.

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