mercoledì 10 ottobre 2018
Il filosofo Sigov: «Il clero ortodosso russo subisce l’influenza dello Stato: per i cristiani ucraini è necessario separarsi dal Patriarcato di Mosca»
La cattedrale di San Vladimiro, sede della Chiesa ortodossa ucraina

La cattedrale di San Vladimiro, sede della Chiesa ortodossa ucraina

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Pubblichiamo qui sotto alcuni stralci dell’intervista al filosofo ucraino Konstantin Sigov, docente dell’Accademia Mohiliana di Kiev, direttore delle edizioni Duch i litera (il testo completo dell’intervista sarà disponibile sul portale www.lanuovaeuropa.org). Il professor Sigov sarà presente a Seriate presso Villa Ambiveri, al Convegno internazionale, in programma da venerdì a lunedì, organizzato dalla Fondazione Russia Cristiana, dal titolo: «Uomini liberi. La cultura del samizdat risponde all’oggi».

La Chiesa ortodossa ucraina chiede l’indipendenza totale, o autocefalia, dal Patriarcato di Mosca, crede che sia una necessità reale per il suo paese?
«L’autocefalia viene richiesta già da molto tempo. Si è cominciato a chiederla molto prima di Porošenko, molto prima del Majdan e anche della Rivoluzione arancione del 2004. Parliamo del momento in cui l’Ucraina ha acquistato l’indipendenza nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Se alla Chiesa ortodossa Ucraina l’autocefalia fosse stata data in quel momento non ci sarebbero stati scismi. E invece, milioni di persone, uomini, donne e bambini si sono sposati, battezzati, hanno celebrato le esequie ai propri morti in Chiese non canoniche, ricevendo dei sacramenti che, secondo il parere del Patriarcato di Mosca, sono inefficaci. L’esperienza degli ultimi 25 anni ha mostrato che Mosca non cerca possibilità di dialogo in Ucraina, ormai è chiaro che non c’è speranza di ottenere nulla in questo senso. Eppure parliamo di milioni di persone, non di decine di migliaia, ma di milioni considerati scismatici, anche se tra noi e loro non ci sono differenze dogmatiche, di rito, di fede, i santi sono gli stessi... L’unico punto sul quale non c’è unità sono i rapporti con Mosca. Tutta l’Ucraina è rimasta scioccata quando una madre ha chiesto il funerale per il suo bambino e il prete si è rifiutato perché il piccolo era stato battezzato nel patriarcato di Kiev scismatico. È una questione politica? No, è una questione spirituale. Come si fa a mancare di misericordia in questo modo verso le persone solo perché non sono, tra virgolette, “canoniche”? Vuol dire che il “canone” diventa strumento di segregazione, di isolazionismo, viene usato per rinchiudere in un “ghetto” milioni di persone solo perché non vogliono sottomettersi al Cremlino. È una questione spirituale, morale, etica, una questione della Chiesa in fin dei conti. Se oggi si offre la possibilità che questa situazione venga sanata - e la cosa riguarda noi tutti uomini di fede - questa situazione deve essere sanata. Certo, bisogna ancora capire “come”. È una questione difficile che non può essere risolta in modo leggero, perché qualsiasi semplificazione può fare solo del male, ma d’altra parte non dobbiamo nemmeno lasciarci prendere dal panico e temere di muoverci per non provocare mali peggiori. Non sarebbe una posizione cristiana, sarebbe una posizione fatalista. Invece tutto dipende da come lo Spirito opererà, dalla nostra apertura e da quanto riusciremo ad agire insieme, tramite il dialogo, usando la conciliarità. Del resto, c’è sempre il grosso rischio di interferenze. Le autorità della Chiesa ortodossa russa non sono libere di esporre il loro punto di vista personale rispetto alle questioni ecclesiastiche. È assolutamente chiaro che la Chiesa ortodossa russa subisce la fortissima influenza del Cremlino; il quale esercita una forte pressione sulle varie strutture sociali, e sulla Chiesa in modo particolare, perché è la maggiore istituzione esistente che non appartenga allo Stato».

Quindi lei ritiene che l’autocefalia sia importante in quanto eliminerebbe l’influenza della politica russa sulla Chiesa?

«Se teniamo conto di quello che è successo negli ultimi anni in Russia, a partire dagli episodi di piazza Bo- lotnaja, con l’aumento della violenza nei confronti della società civile; se teniamo conto che adesso come adesso non ci sono possibilità di separare Stato e Chiesa, il potere spirituale da quello temporale, ma che al contrario la pressione dello Stato sulla Chiesa aumenta sempre più, come aumenta la strumentalizzazione della Chiesa, per noi ucraini diventa chiaro che l’unica possibilità per dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, per sfuggire all’influenza dello Stato è separarsi dalla Chiesa ortodossa russa. Personalmente io preferirei che in questo campo ci fosse meno politica possibile. Ritengo che allo stadio in cui ci troviamo ora, si dovrebbe chiedere a tutti i personaggi politici di tutte le parti di lasciare tranquilli vescovi, credenti, laici e non laici, e che nessuno dei presidenti dei paesi coinvolti si immischi in questa faccenda, che non è affare né di Putin, né di Erdogan, né di Porošenko».

Non esiste il rischio che nella nuova Chiesa Ucraina possa ripetersi la stessa logica di potere che si è instaurata in quella di Mosca, e che la questione nazionale diventi più importante di quella spirituale?
«Il rischio c’è sempre, ma i contesti sono molto diversi. La situazione Ucraina, in 27 anni di indipendenza, non è mai stata monolitica né mai lo sarà. In Ucraina c’è sempre stata pluralità e questa pluralità si conserverà sempre; nessuna delle sue Chiese deve diventare Chiesa di Stato. La società civile ucraina è convinta che proprio nella sua varietà, nel suo ricco mosaico sta la sua forza, la sua ricchezza e che quindi questa situazione non debba cambiare. Allo stesso tempo non voglio idealizzare la realtà: bisogna evitare che qualsiasi estremismo, compreso quello etnocentrico, cominci a giocare lo stesso ruolo che ha oggi all’interno della Chiesa ortodossa russa. Per questo motivo la giovane Chiesa Ucraina dovrebbe avere a cuore che le altre Chiese, non solo Costantinopoli, ma la Chiesa della Georgia, della Repubblica Ceca, della Romania, della Grecia, siano in dialogo tra loro, e che l’Ucraina esca finalmente dall’isolamento. In Ucraina bisognerà stare attenti alle provocazioni, senza averne paura, ma allo stesso tempo prendendo sul serio tutte le possibili forme di destabilizzazione. Soprattutto bisogna fare di tutto per evitare la violenza nelle eventuali redistribuzioni future delle chiese tra i vari patriarcati. Bisogna che si mantengano al massimo grado la misura, la razionalità sociale che erano proprie dei primi mesi del Majdan. Tutti gli stranieri che venivano a Kiev in quei mesi si stupivano di non trovare neanche una vetrina rotta, non una macchina capovolta, le strade erano pulite... Questo è il modello che ci serve anche oggi».

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