mercoledì 25 febbraio 2009
La band sprona i fan con un lavoro intenso dove spicca «Moment of surrender» che per il leader Bono «è una sorta di preghiera laica».
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Piccolo uomo dalle grandi i­dee, Bono gioca ancora una volta a sorprendere i propri fans. Nel nuovo album degli U2, sul mercato da venerdì prossimo, si de­finisce smanioso di tornare a dire la sua attingendo a termini come «reset» (azzerare) o «reboot» (riav­viare) persino dal linguaggio infor­matico per formulare ai fans l’invi­to « ad azzerare il passato e rico­minciare tutto da capo per riavvia­re il mondo». Le vette di Unforgettable fire o A­chtung baby rimangono inarriva­bili per gli U2 di oggi, ma questa nuova fatica del gruppo irlandese strizza l’occhio al passato con gran convinzione. Prova ne sia il ben­servito riservato in corso d’opera al guru dei produttori Rick Rubin per riabbracciare i sempiterni Brian E­no, Daniel Lanois e Steve Lillywhi­te. Il risultato è un suono straordi­nario al servizio di canzoni di alto livello da metabolizzare ascolto do­po ascolto senza farsi influenzare dal pop un po’ sterile del primo sin­golo Get on your boots, malizioso specchietto per le allodole costrui­to sul sound ha fatto la fortuna del quartetto di Pride. Fra i personaggi che affolano le sto­rie di questo nuovo cd e del film di Anton Corbijn Linear, realizzato come completamento visivo del cd, ci sono un drogato ( Moment of sur­render), un poliziotto ( Fez / Being born), un corrispondente di guer­ra ( Cedars of Lebanon). Ed è sulle loro vite che scivolano via i cin­quantaquattro minuti di queste un­dici nuove canzoni. Ma sulle copie messe in vendita in Inghilterra, Giappone ed Australia ce ne sarà una in più: No line on the horizon 2, uno sviluppo della title-track che apre il disco. Compare solo nel me­diometraggio di Corbijn invece Winter, un pezzo dai retaggi alla Si­mon & Garfunkel per accontare la storia di un soldato sotto la neve dell’Afghanistan. Il pezzo dovrebbe figurare pure nella colonna sonora di Brothers, il nuovo film di Jim She­ridan interpretato da Tobey Ma­guire. Fra i brani di primissimo piano, ol­tre a quello che intitola l’album, si evidenziano il ritorno al passato di Magnificent, nobilitata dal tocco di Terry Lawless e di will. i. am dei Black Eyed Peas, Stand up comedy col suo falsetto invadente e i suoi retaggi zeppeliniani, White as snow una ballad quasi folk, Breathe col violoncello arabo di Caroline Dale. I 7 minuti e 22 secondi di Moment of surrender finiscono per trasfor­marla invece in una specia di pre­ghiera (il leader Bono la definisce «una preghiera laica, piena di ani­ma e di suoni neri»). E i fans già ca­rezzano l’idea di ascoltarla nel nuo­vo tour mondiale della band, atte- so al debutto l’ultima settimana di giugno in quel di Barcellona con due repliche a San Siro tra il 6 e l’8 luglio. Possibile pure una replica a Roma. Dedicato alla memoria di Rob Patridge, l’uomo che più di o­gni altro si spese per procurare a­gli U2 un contratto con l’etichetta Island e divenne per un decennio il loro addetto stampa, No line on the horizon sposa la causa di One, l’organizzazione per affrontare le emergenze sanitarie dell’Africa supportata dagli stessi U2, di Greenpeace, di Amnesty Interna­tional, e della Burma Campaign a sostegno della liberazione del Pre­mio Nobel Aung Sang Suu Kyi. Da sinistra il chitarrista The Edge e Bono Vox degli U2.
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