domenica 29 ottobre 2017
L'attore racconta la lunga e avventurosa carriera. Ora è in scena a teatro con Massimo Lopez: «Ma ogni volta con noi e il pubblico c’è Anna»
L'attore Tullio Solenghi

L'attore Tullio Solenghi

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In principio era Tullio soltanto, poi arrivarono Massimo e Anna e fu il “Trio”: Solenghi-Lopez-Marchesini. Assieme fraternamente, per dodici anni, hanno scritto un capitolo fondamentale della storia della televisione nazionalpopolare anni ’80-’90. Ma anche del teatro, il primo amore che non hanno mai abbandonato, anche adesso che sono rimasti in due. La splendida, irresistibile Anna Marchesini è volata via per sempre, prematuramente, a luglio dello scorso anno ma anche questa sera va in scena il “Massimo Lopez e Tullio Solenghi Show”. E la sua, la loro storia, Solenghi l’ha voluta raccontare in Bevi qualcosa Pedro! (Rai Eri, pagine 262, euro 18,00) che, come spiega il sottotitolo, più che un’autobiografia è un’autotriografia. «Sono un assiduo grafomane. In tutti questi anni ho riempito un diario di oltre 450 pagine. Dentro c’è la mia vita, le stagioni teatrali con il Trio, le poesie di Anna (alcune inedite pubblicate nel libro della Marchesini È arrivato l’arrotino (Rizzoli). A volte mi diverto a rileggere episodi che la memoria aveva rimosso... Come quella volta a Vicenza che avevamo sei giorni di tutto esaurito e per lo strazio dell’impresario fummo costretti a sciogliere la compagnia. Anna e Massimo si erano beccati una bronchite pazzesca – annoto sul diario – e io passavo da una stanza all’altra con la siringa per le punturine... Che storia».

Ora, dentro Bevi qualcosa Pedro!, c’è la storia di una passione per lo spettacolo, tutto, che andrebbe fatta leggere nelle scuole – non solo di recitazione – per comprendere il valore, ormai desueto, del sacrificio, della gavetta, del rispetto per il pubblico che sono le cose più belle che si ritrovano nella valigia dell’attore.

Tullio, l’ex ragazzo, genovese di Sant’Ilario, classe 1948: partito, diplomando geometra, dalla compagnia dello Stabile di Genova («recitando una sola battuta ») e arrivato con il Trio a mettere in piedi show su Rai 1 per 14 milioni di telespettatori. Ma era davvero questa la vita che voleva?

«Assolutamente sì. E se dovessi fare un bilancio, beh direi che sono andato oltre le mie aspettative. Ho ricoperto ogni ruolo, adesso mi manca solo il circo – sorride - . Anzi se gli Orfei mi chiamano... io sono qui a disposizione».

Ma quando ha capito di avere la stoffa per diventare un uomo di spettacolo?

«L’imprimatur me lo diede un momento di sacralità: la Santa Messa che alla domenica servivo da chierichetto con mio fratello nella parrocchia di Sant’Ilario. Quando vidi tutta quella gente dall’alto dell’altare durante la celebrazione del matrimonio di Alberto Lionello capii che la mia investitura attoriale stava arrivando dall’Alto...».

Nel suo libro invece si legge che i “miti terreni” – incontrati negli anni della formazione – Dario Fo e Franca Rame, un po’ la delusero...

«In effetti. Con l’attore e regista Gianni Fenzi, decidemmo di mettere in scena le “farse” scritte da Dario Fo. Ero già stato a vederle alla Palazzina Liberty e conoscevo a memoria tutto Il mistero buffo. Dopo il grande successo ottenuto al Teatro Uomo di Milano non mi aspettavo lo “scavalcamento a sinistra”: Dario e Franca salirono sul palco e dissero che “non avevamo osato abbastanza”, che eravamo stati “poco politici”. Uscimmo di scena assieme, loro salirono su una fiammante e sontuosa Citroen Pallas, io nella mia umile Dyane 6... Quella notte ho imparato la lezione: anche i miti hanno la partita Iva».

Si sarebbe rifatto, e alla grande, con il Trio. Dal debutto televisivo in Tastomatto fino ai Promessi sposi , i Fantastico e i Festival di Sanremo condotti da Pippo Baudo. Successi, record di ascolti, ma anche qualche “censura”.

«Beh in dodici anni di Trio diciamo che ci siamo sempre “autocontrollati” un istante prima di cadere nel veniale. L’unica scivolata me la concessi al Festival con la parodia di “San Remo”, ma il pentimento fu immediato dopo aver ascoltato la reazione un po’ seccata di mia madre. Il suo turbamento da fervente cattolica pensai che poteva essere assai diffuso, così da quel momento il suo giudizio critico divenne il mio autofiltro, anche se la nostra libertà creativa rimase intatta».

Pentimento a parte, quel “San Remo” con il remo in mano che profetizzava “Dalla prima lettera di Jovanotti alle sorelle Boccoli...” vi fece comunque finire in prima pagina.

«Oggi con quello che passa il convento la reazione a uno sketch simile farebbe ridere. Invece allora i giornali titolarono: “Il Trio accusato di vilipendio alla religione”... Ma scatenammo una bufera ben peggiore con la parodia di Reagan (Massimo) e il mio Khomeini, nativo di Barberino del Mugello che trainava la carretta con sua mamma Khome-Ines (Anna) che si esprimeva in dialetto orvietano...».

Quale fu l’effetto che fece?

«Risate generali, tranne dagli ayatollah che scoprimmo non possedere affatto il senso dell’umorismo. Frajese aprì il Tg1 con la nostra foto e la notizia del giorno era: “Incidente diplomatico causato dal Trio. Sospesi i voli Roma-Teheran con l’espulsione di tre funzionari italiani”. Seguirono minacce di morte di un’imprecisata legione islamica. Ci difendemmo con una settimana di bocche cucite e coprifuoco forzato. Anni dopo a Roma alla Taverna dell’Orso incontrammo Romano Prodi, allora ministro dell’Industria, che con il suo classico tono serafico ci confidò: “Il vostro è stato lo sketch più costoso della storia della televisione”. Pare che i miliardi di commesse che l’Iran doveva all’Italia vennero azzerati, “grazie a noi”».

Sta ridendo di gusto, ma qual è il comico che la fa ridere?

«Corrado Guzzanti è stato un faro illuminante. Il comico deve avere una sua marzianità, non deve appartenere a questo mondo. Deve spiazzare, come faceva il mio giornalista del Tg che partiva normalissimo per sconfinare nell’assurdo. Il comico gradevole che ride delle sue battute e che annuncia duecento risate garantite a me fa piangere».

Con Beppe Grillo avete debuttato assieme nel cabaret: meglio comico o politico?

«Come attore lo considero un mostro di improvvisazione. Come amico gli voglio troppo bene e l’ho riabbracciato con piacere qualche tempo fa. Lo incontrai per caso a Sant’Ilario mentre passeggiavo con mia figlia e mio genero i quali vedendolo, da grillini convinti, si sono illuminati: aspettavano di ascoltare il “verbo” del leader del Movimento 5 Stelle. Invece Beppe parlò solo dei nostri inizi al “Refettorio”, il locale genovese dove ci esibivamo e di cui ricordava aneddoti esilaranti da dietro le quinte... Grillo comunque lo stimo anche come politico: ha saputo intercettare la vitale richiesta di attenzione dei nostri giovani, da sempre invisibili agli occhi della classe politica dominante».

Intanto i giovani continuano a venire a teatro per vedere il Lopez-Solenghi Show.

«E si divertono con i nostri duetti: Frank Sinatra-Dean Martin già testato in tv a Tale e quale Show. E dopo lo storico Wojtyla Massimo ora fa Bergoglio e io Ratzinger, i Papi che da buoni amici stanno tutte le sere a cena assieme».

E tutte le sere, a un tratto per magia entra in scena anche la Marchesini.

«C’è un un momento dello spettacolo in cui io leggo una poesia indiana e il pubblico sa che lì dentro a quel testo c’è Anna... A quel punto parte una scarica di adrenalina che dal palco arriva fino all’ultima fila della platea e ci ritorna indietro con un applauso che ce la restituisce... Sarò sempre grato al nostro pubblico, per non aver mai smesso di aprirci la porta e farci rientrare, tutti e tre, nelle loro case». © RIPRODUZIONE RISERVATA Intervista In scena con Massimo Lopez, l’attore esce ora con un’autobiografia «Ogni volta con noi e il pubblico c’è Anna»

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