domenica 27 marzo 2016
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Si può rendere omaggio alle buone intenzioni del cosiddetto Intelligent Design – ovvero il “Disegno intelligente”. Secondo questa teoria, “alcune caratteristiche dell’universo e delle cose viventi sono spiegabili meglio attraverso una causa intelligente, che non attraverso un processo non pilotato come la selezione naturale”. Basta ammirare il disegno dell’ofride fior di bombo, il petalo a pedale della salvia o semplicemente la fotosintesi che trasforma la luce in zucchero, e sembra proprio indiscutibile: c’è intelligenza nella pianta, anche se non è l’intelligenza della pianta. La conclusione che il tutto provenga da un’intelligenza trascendente pare quasi inevitabile… Dico “quasi” perché questa teoria pone enormi problemi, non solo dal punto di vista scientifico ma anche e soprattutto da quello filosofico e teologico. A dire il vero, l’appena conquistata rivincita di un Dio-ingegnere si muta subito non nella celebrazione di Dio, ma nell’apoteosi dell’ingegnere. L’essenziale non sarebbe dovuto al caso, ma a un design, un piano. In questo modo, la prova dell’esistenza dell’Altissimo si trasforma nell’esaltazione degli standard della tecnoscienza e non fa che confermare l’ideologia dominante, concedendole anche le sue lettere di credito celesti. E se, in fin dei conti, un certo darwinismo riveduto e corretto ci proponesse una visione più degna dell’operato divino di quella, troppo ingegnosa, troppo umana, dell’Intelligent Design? Certamente, bisogna criticare la selezione naturale in quanto è essa stessa derivata dal modello liberale malthusiano: concorrenza degli individui, sopravvivenza del più adatto, funzionalismo rivolto all’auto-conservazione e dunque subordinato a una “ontologia borghese”, secondo le parole di Robert Spaemann. Bisogna anche ammettere che se la materia ha potuto raggiungere l’elevato grado di organizzazione che si incontra in te, caro lettore, è forse perché essa non è completamente indeterminata, ma possiede un’attitudine originaria verso le forme complesse, fino a quella umana. Tuttavia, per l’apparizione delle forme variegate della natura, sono del parere di dare importanza particolare al caso, e perfino di radicalizzare l’idea con un’evoluzione realizzata attraverso il caso e le catastrofi. Dio è creatore di un certo ordine, ma non è l’ordine di un meccanico o un informatico. Quest’ordine è il fondamento di un’avventura. È aperto al vento dell’imprevisto. Soprattutto, il Creatore è il solo – ed è proprio ciò che lo distingue infinitamente da ogni intelligenza creata – a potere agire attraverso il caso, perché ciò che è caso agli occhi del mondo è ancora sotto la guida della sua provvidenza. È l’esperienza di tutti: quanto c’è di più decisivo nella nostra vita, a cominciare dalla nostra nascita, è frutto di incontri. Questa è la saggezza dell’amore: ho incontrato mia moglie per caso e questo caso coincide, a cose fatte, con la necessità più enigmatica. Il mistero della Salvezza non procede come una deduzione a partire da principi. Accade attraverso l’avvenimento dell’incarnazione. Perché dunque l’evoluzione del vivente non dovrebbe rispondere alla stessa struttura? Perché non potrebbe farsi andando all’avventura, secondo un ordine che si dispiega attraverso l’avvenimento e l’incontro? L’evoluzione non si è realizzata in modo lineare. È un dramma, pieno di rumore e di furore. Le prime stelle esplodono ed ecco che la distruzione permette la formazione del carbonio e dei metalli necessari alla vita. Anche i viventi subiscono estinzioni di massa. Si manifesta qui un movimento che somiglia a quello della morte e risurrezione, come se il mistero pasquale apparisse in filigrana nello sviluppo della vita… Comunque sia, è più degno di Colui che trascende il mondo agire attraverso le sue contingenze più catastrofiche. Cosicché e proprio là dove le scienze fisiche non possono più vedere altro che un puro caso, che la sua mano specialmente agisce. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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