martedì 5 agosto 2014
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A un secolo dalla Grande Guerra si moltiplicano le riflessioni sul ruolo delle Chiese nel primo conflitto mondiale all’alba del 'secolo breve'. Prendono parte a questo fare memoria forum di teologi, di ecclesiastici, testate cattoliche di approfondimento. Con una duplice consapevolezza. Quella di un 'tempo' che – come ha detto anche papa Francesco – è sempre superiore sul 'momento' e in definitiva 'sullo spazio'. E quella di un dovere del ricordo da condividere, anche in una lettura purificatrice della storia. Certo, questo fare memoria insieme, oltre ad una ricostruzione del ruolo dei cristiani neutralisti, interventisti, pacifisti, obbedienti... – tra gli appelli alla pace di Benedetto XV e la partecipazione all’«inutile strage», l’amor di patria e i nazionalismi – porta a posizioni convergenti o divergenti, ma sempre meritevoli di attenzione. Assai diffusa la lettura pronta a cogliere il dato che la maggioranza dei cattolici, anche dopo le discussioni sulla liceità della guerra, giunta l’ora di combattere 'tace e ubbidisce', per dirla con padre Gemelli sul caso italiano. Lo mette bene in rilievo Alberto Guasco sull’ultimo Jesus. Invece, su altri temi le posizioni non sono affatto univoche. Così, se lo stesso Guasco, sulla rivista paolina, vede nel conflitto la 'madre ' di tutti i nazionalismi, i genocidi, le violazioni dei diritti del ’900, con effetti che si trascinano ai nostri giorni, ecco invece che sul Regno monsignor Luca Ravel insiste su altre questioni. L’ordinario militare francese infatti, in un recente saggio per il quindicinale dei Dehoniani si chiede se – pur prendendo atto della coincidenza fra la fine della guerra da una parte, e dall’altra l’avvento del comunismo in Russia, del nazismo in Germania, del fascismo in Italia – le radici vadano ricercate non nella guerra bensì nella storia del pensiero filosofico europeo. Spingendosi a scrivere: «La gravità di quella guerra, e il suo fardello di morti, nascono direttamente dalle leggi di coscrizione obbligatoria, inventati dalla Rivoluzione francese e contro le quali papa Benedetto XV insorgerà con violenza».  Aderire alle varie ipotesi certo non significa solo portare indietro le lancette dell’orologio della storia e dell’incubazione di tutta la violenza di un secolo. Passando dal 'tempo' allo 'spazio', non si può poi passare sotto silenzio la cifra di una guerra per la prima volta 'globalizzata', che finì per coinvolgere tutti: Paesi cattolici come l’Italia e l’Austria, non clericali come l’Inghilterra o la Francia, a forte presenza protestante come la Germania o ortodossa come la Serbia, senza dimenticare i combattenti arrivati da oltremare e oltreoceano, dall’Africa all’Indocina con le loro fedi.  E non a caso Guasco invita a osservare alcune aree di crisi geopolitica degli ultimi vent’anni dai Balcani all’ovale caucasico, dal Medio Oriente ai vecchi confini fissati dalla pace di Brest Litovsk: teatri che paiono rimandare a nodi attuali che è stata quella guerra ad aver posto («come se le conseguenze remote del primo conflitto mondiale, più che remote, fossero prossime e future»).  E, proprio sulla Grande guerra e le Chiese balcaniche, scrive Ivo Banac sull’ultimo Concilium. Con una premessa che porta al secolo precedente, evidenziando nei moderni processi di integrazione nazionale – con i cambiamenti recati alle antiche identità fondate sulla religione dei popoli balcanici e fra gli ortodossi dei Balcani orientali – l’avvio alle sollevazioni contro gli Ottomani, la crescita di Stati- nazione e le richieste per la fondazione di Chiese nazionali autocefale indipendenti dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. E con una conseguenza: la caduta della religione nell’egida dello spirito nazionalista e la sua acquisizione dell’impronta secolare delle moderne ideologie nazionaliste. Per Banac fattori, questi, più rilevanti di tanti eventi sempre citati.Interessanti, nello stesso forum ospitato sulla rivista della Queriniana, i contributi di Lucia Scherzberg e August H. Leugers-Scherzberg, che oltre a indagare la recezione del conflitto come «luogo della rivelazione di Dio» (ma con scarsa eco nella religiosità quotidiana), palesano come il desiderio di essere accettati nello Stato nazionale tedesco sia stato trainante per l’entusiasmo verso la guerra anche tra i teologi cattolici della Germania (da qui la desolidarizzazione nei riguardi dei cattolici che stavano dalla parte dei 'nemici'). Come è ovvio che sia, ad accomunare forum e interventi, è infine il riflettore puntato su Benedetto XV. John Pollard su Concilium,  analizzandone gli sforzi per far cessare la carneficina – circoscritti dalle restrizioni diplomatiche cui sottostava la Santa Sede – sottolinea assieme al genuino desiderio di giustizia e di pace che lo portava a condannare le nuove tecniche di guerra o il genocidio armeno, il conseguimento di obiettivi come il consolidamento dell’impero austroungarico, baluardo contro la Russia ortodossa.Ma a colui che in Francia fu chiamato 'il papa crucco', in Germania 'il papa francese', in Italia addirittura 'Maledetto XV', dedica spazio anche Ravel nel contributo sul Regno. Scandagliata in tutti i suoi significati la presenza del clero nelle trincee, e di una Chiesa che anche con i suoi cappellani, barellieri, combattenti, ha trasformato i campi di battaglia in campi di apostolato, si è interrogata sull’anima dei soldati, il loro spirito di cittadini e di cristiani, la loro trasformazione dell’amor di patria in nazionalismo, la separazione tra guerra e i valori morali – eccolo concentrarsi sul ruolo del pontefice che appena eletto sposa il partito della 'pace giusta' e sta solo 'dalla parte di Dio'. Ravel sottolinea (citando Joseph Ratzinger) come l’imparzialità raccomandata da Giacomo della Chiesa fosse per lui tutto salvo indifferenza. Poiché Dio non accetta di scegliere un campo dove pure viene pregato per la vittoria.  Da qui il rimando a Blaise Cendrars («Dio è assente dai campi di battaglia») o a Maurice Barrès, che contro logiche pagane o da religione del sacrificio, non dimentica ciò che molti predicatori cattolici o protestanti hanno proclamato: «Non Dio con noi, ma noi con Dio», o «Si può pregare Dio, non per quell’esercito piuttosto che per quell’altro, ma per la salvaguardia della giustizia».
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