martedì 18 novembre 2014
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Arriva timido, con il vestito della festa (senza cravatta), come un ragazzino che sta per andare a ritirare il premio del migliore alunnno della scuola. E infatti Francesco Totti, nonostante i 38 anni suonati, è ancora il meglio - sotto tutti i punti di vista - che può esibire la nostra mal ridotta scuola italiana. È lui “Il Bello del calcio” 2014, il riconoscimento che dal 2006 la famiglia Facchetti - con la Gazzetta dello Sport - ha indetto alla memoria di Giacinto Facchetti, di cui il “Pupone” si rammarica: «Mi dispiace di non averlo mai conosciuto, è una di quelle figure positive che fanno ancora tanto bene al calcio...». I questa sintesi, c’è in fondo il suo autoritratto. Quello dell’eterna bandiera della Roma con la quale ha debuttato a Brescia nel lontano 28 marzo 1983. Fu “zio” Vujadin Boskov il primo a gettarlo nella mischia. Poi, a mandarlo in gol, ci pensò “nonno” Carletto Mazzone. La prima delle 237 reti (nelle 569 gare disputate) in giallorosso, la realizzò al Foggia, il 4 settembre 1994. Quel giorno la Curva Sud, che da pischello lo aveva accolto da tifoso, sapeva che era nata la più bella stella de Roma. Ma per il “lungimirante” tecnico argentino Carlos Bianchi, quella stella andava ceduta... Per fortuna non è andata così. Saldo in regia, Totti è ancora il capitano coraggioso della Roma di Garcia e con la “n.10” giallorossa è il simbolo delle anime salve del calcio moderno. Faccia da Cinecittà, con il ghigno di sfida alla Sean Penn, ma con la mimica e i tempi comici di Alberto Sordi («Albertone abitava a 800 metri da casa Totti», sottolinea il “tottiano” Carlo Verdone), così si presenta in campo l’ultima bandiera della Serie A («La Juve c’aveva Del Piero, non ve lo dimenticate», ricorda). Come Facchetti all’Inter, ma in questo caso si può scomodare il più affine Gigi Riva al Cagliari, Totti la sua scelta di cuore l’ha fatta da bambino rinunciando a «un po’ de trofei. Ma se guardo a quanto fatto con la Roma, sono contento lo stesso. Anzi di più». Due scudetti e un paio di coppe nazionali. Poco, «ma con la maglia azzurra ho ottenuto il massimo per un calciatore, un Mondiale».A ricordargli quelle notti magiche di Germania 2006 si presenta un paterno Marcello Lippi, reduce dalla trionfale campagna di Cina. «Lippi venne a trovarmi in ospedale e tutto il periodo del recupero dall’infortunio continuava a telefonarmi dicendomi: “Oh, io ti aspetto”. Sò cose che non se dimenticano».Di quel Mondiale resteranno per sempre gli occhi di ghiaccio del “Pupone” che trasforma il rigore qualificazione con l’Australia e poi l’immagine del “Mago Totti” che legge la Coppa, a mò di sfera di cristallo. «Che c’ho visto lì dentro? Niente, la fissavo perché conoscevo solo quella finta del Subbuteo...». Subito dopo aver alzato al cielo la vera Coppa del Mondo, ha detto addio all’azzurro. Eppure negli otto anni successivi la sua media realizzativa è salita dallo 0,3 allo 0,5 gol a partita. «Beh, se lo sapevo smettevo prima di andare in Nazionale», dice divertito e divertendo la platea che schiera nella prima fila della Sala Buzzati tutti i maggiori patron del vapore. «È la prima volta che vedo schierati tutti stì presidenti e sinceramente sono impanicato», torna timido il “Pupone” che augura «al calcio italiano di tornare a fare la storia», ma soprattutto che tornino le famiglie allo stadio. «Prima di smettere, e non sarà poi tra tanto, vorrei vedere stadi pieni di genitori con i figli. Con i bambini sugli spalti noi giocatori in campo ci sentiamo migliori». Cristian e Chanel, i figli di Totti e Ilary Blasi frequentano l’Olimpico: «Sì, ma a volte mi hanno detto: “Papà, io c’ho paura”». È il cuore di papà Francesco che parla, specie quando gli dicono che Cristian sta crescendo bene nelle giovanili della Roma: «Vorrei che se ne parlasse il meno possibile... È solo un bambino e come tutti i bambini desidera una cosa soltanto: giocare per divertirsi». Ed è perché tornino a divertirsi anche quei piccoli ammalati, che il premio in denaro lo ha donato all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. Sono 10mila euro, 5 milioni di lire del vecchio conio, la stessa cifra che, dalla Cecchignola, il soldatino semplice Francesco Totti spedì a Robertina, una bimba di 4 anni che doveva essere operata al cuore in una clinica americana. Era il 1994, da allora il mondo è cambiato, mentre il cuore grande del Pupone è rimasto sempre lo stesso.
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