mercoledì 5 ottobre 2022
Il tecnico del primo scudetto laziale era nato il 7 ottobre 1922. Un’impresa con la squadra di “canaglie” e di Chinaglia
Tommaso Maestrelli, il primo allenatore vincente della Lazio

Tommaso Maestrelli, il primo allenatore vincente della Lazio

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«Il Maestro è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà», canta Paolo Conte. E la matrice “magistrale” è insita nel cognome Maestrelli. Tommaso Maestrelli, il primo allenatore vincente della Lazio, quella dei belli e dannati della stagione tricolore 1973-’74, è nato 100 anni fa, a Pisa, il 7 ottobre 1922. Un normal man, di una compostezza quasi british: Tom, il marito dell’amata Angela, madre dei loro quattro figli: Patrizia Maria, Tiziana e i due gemelli Massimo e Maurizio. Di questa splendida famiglia di sport che perse il suo totem a soli 54 anni, rimane solo il gemello Massimo. Memoria maestrelliana, che dal «babbo » ha ereditato la stessa purezza signorile. Anni fa, grazie a Massimo, al cimitero di Prima Porta ho vissuto una sorta di Spoon River laziale: Tommaso, Maurizio Maestrelli e il “quinto figlio”, il mitico “Long John”, Giorgio Chinaglia riposano uno a fianco all’altro nella tomba di famiglia, e ogni giorno non manca mai un tifoso che porti una rosa, una sciarpa o che si fermi a onorare la memoria di questi piccoli eroi del ’74. L’epica del Maestro, arrivato dal Foggia alla Lazio nel 1971, stagione di serie B, chiamando poi con sé il biondo Luciano Re Cecconi e due ragazzi dell’Internapoli: il libero con il vizio di attaccare Pino Wilson e quel rissoso e irascibile bomberone di Chinaglia. Loro due, i capi clan di uno spogliatoio di simpatiche canaglie, spaccato a metà. Gli antagonisti erano Re Cecconi, Martini e Frustalupi. Ma Maestrelli fece della più imperfetta delle creature un capolavoro assoluto. Ironia della sorte, la cavalcata trionfale del primo scudetto della Lazio iniziò il 7 ottobre ’73, giorno del 51° compleanno dell’allenatore: vittoria al Menti (Vicenza- Lazio 0-3) e l’apoteosi porta la data del 19 maggio 1974: «Il giorno in cui io e Maurizio compivamo 11 anni», ricordava sempre Massimo con la commozione dell’eterno “gemello terribile”. Con Maurizio erano le “mascotte”, conosciuti da tutta Roma e tollerati, per simpatia, anche dall’opposta fazione giallorossa.

Quella che invece odiava Chinaglia che nel derby del 31 marzo ’74 al gol vittoria del 2-1 si permise di irridere la Curva Sud con un ditino brutale a indicare uno per uno i suoi nemici. «Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia!», urlava in estasi la Nord laziale, e quel mantra stuzzicava l’ego sconfinato del bomber che puntualmente si “ingobbiva” e urlando pretenzioso «palla!» al compagno proclamava imperioso: «Tu passa a me, che faccio gò!». In quell’anno di grazia Chinaglia ne segnò 24, di gol, incoronando, 31 anni dopo Piola, un bomber laziale re dei marcatori. Su quel trono ora sale e scende Ciro Immobile, gran goleador, ma lontano anni luce dalla tigna cecchina e il carisma di “Long John”. Nostalgia Chinaglia, quella che si avverte ancora nel ricordo di Massimo Maestrelli quando rievoca le vigilie dei derby in cui Mastro Tom doveva fare anche da padre e tutore al suo bomber. «Giorgio su ordine di babbo prima di ogni Roma-Lazio veniva a dormire a casa nostra. Perché? Per via delle minacce dei romanisti che aveva aizzato per tutta la settimana...». Per salvarlo dal linciaggio giallorosso padre Antonio Lisandrini, amico e padre spirituale di Mae-strelli, andò a difenderlo in tv alla Domenica sportiva. «I gesti di Chinaglia – disse padre Lisandrini – sono scaturiti dalla passione per la battaglia... da un cuore puro come quello di un bambino». Maestrelli lo trattava come tale, lo viziava, permettendogli di fare il pisolino su una panca prima dell’allenamento, quando Giorgione aveva già gli scarpini allacciati ai piedi.

«Di Lazio ci si ammala inevitabilmente», ha detto fino all’ultimo respiro Chinaglia che pur di restare con Maestrelli e non essere ceduto – per 1 miliardo alla Juve dell’Avvocato – minacciò il presidente, “er Papà” Lenzini: «Se mi vendete smetto di giocare». Così Lenzini fino all’ultimo istante di calciomercato si lasciò chiudere in bagno da Maestrelli per resistere alla tentazione di quell’affare miliardario. Un botto. Pistole e palloni (Limina) si intitola il documentato saggio amarcord di Guy Chiappaventi, che con il secondo atto, Laziali bastardi (le Milieu), ha scritto tutto ciò che c’è da sapere su quella polveriera umana della Lazio del ’74. A sedare la rabbia pasoliniana e quella follia di una vita violenta (l’assurda uccisione di Re Cecconi sparato da un gioielliere) c’era la saggezza di Maestrelli che, prima di volare via come un aquila nel cielo, chiese al suo Giorgio: «Promettimi che farai di tutto perché i gemelli si laureranno». Promessa mantenuta come un “gò”. «Il giorno della laurea, in Economia, io e Maurizio, come sempre dopo ogni esame, siamo saliti alla tomba di babbo di corsa. Era il nostro “secondo scudetto” personale: tesi discussa con il professor Troina, un romanista che ai laziali li bocciava tutti». Babbo Tom da lassù quel giorno ha sorriso e sorride ancora oggi che la Sud, nelle domeniche laziali, è diventata la Curva Maestrelli. E magari un giorno lì sotto andrà ad esultare suo nipote, Alessio (figlio di Maurizio), difensore centrale della Primavera del Frosinone che ha debuttato in B. Corsi e ricorsi di questa storia del Maestro il cui finale l’affidiamo a Rino Gaetano: «Mio fratello è figlio unico, perché Chinaglia non può passare al Frosinone».

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