venerdì 24 gennaio 2025
La storia affascinante e cruda di un sacerdote "coraggio", che continuò la sua opera nel campo dove fu recluso per aver salvato ebrei e partigiani dalla furia nazifascista
Il 5 maggio 1945 i carri dell’11ª Divisione corazzata Usa entrano nel campo di concentramento di Mauthausen dalla “Porta mongola”

Il 5 maggio 1945 i carri dell’11ª Divisione corazzata Usa entrano nel campo di concentramento di Mauthausen dalla “Porta mongola” - undefined

COMMENTA E CONDIVIDI

Una volta gli occhiali scivolano nel fango, un’altra volano via per lo schiaffo di un ufficiale delle SS, sigla che nel peculiare gergo dei prigionieri non sta per Schutzstaffel, maper Societas Satanae. Il proprietario degli occhiali – rimasti abbastanza intatti, a dispetto delle ripetute peripezie – conosce bene il latino, essendo uno dei numerosi sacerdoti cattolici deportati dal regime nazista. Un «reduce», come lo stesso don Roberto Angeli si qualifica nel capitolo conclusivo di Vangelo nei Lager, ora ripubblicato da Storia e Letteratura (pagine 224, euro 16,00) con il sottotitolo Un prete nella Resistenza e per la curatela congiunta di Riccardo Bigi ed Enrica Talà, che del Centro studi intitolato al presbitero livornese è la direttrice. Già molto conosciuto in ambito locale, il libro di don Angeli ha tutte le caratteristiche per essere annoverato tra i classici della letteratura concentrazionaria. Uscì per la prima volta nel 1953 e da allora è stato più volte ristampato, anche per essere diffuso nelle scuole. Nella sua immediatezza, è un racconto che può essere veramente apprezzato da qualsiasi lettore, senza che questo vada a discapito di una testimonianza esemplare e profonda.

A fianco del più evidente elemento di interesse, costituito appunto dal resoconto dell’internamento in diversi campi, da Fossoli a Dachau passando per Mauthausen, ce n’è infatti un altro, che corrisponde alla pluralità di soluzioni politiche vagliate dal cattolicesimo democratico negli anni della guerra. Nato nel 1913 a Schio, in provincia di Vicenza, ma cresciuto a Livorno, dove viene ordinato sacerdote nel 1936, don Angeli focalizza la sua attività sulla formazione dei giovani, organizzando una serie di iniziative che, dottrina della Chiesa alla mano, mettono radicalmente in discussione i princìpi del regime fascista, peraltro sempre più compromesso con il paganesimo anticristiano del Terzo Reich. Matura in questo clima l’adesione del sacerdote al Movimento Cristiano Sociale, che nel pieno del conflitto si propone come alternativa alla nascente Democrazia Cristiana. I primi capitoli di Vangelo nei Lager lasciano intuire la complessità di un dibattito che, pur avviandosi alla convergenza tra i due diversi gruppi, è comunque destinato a lasciare una traccia negli assetti politici e civili del dopoguerra.

Non è l’argomento primario del libro, d’accordo, ma ne rappresenta ugualmente la premessa indispensabile. Come molti altri “ribelli per amore” (è la definizione dei partigiani cattolici), don Angeli si schiera contro la dittatura non per considerazioni ideologiche, ma per istintiva fedeltà al messaggio di Cristo. Il resto viene di conseguenza, ed è una conseguenza che porta a mettere in gioco la propria vita. Da questo punto di vista, è bene non lasciarsi distrarre dal tono scanzonato che la prosa di don Angeli conserva anche nelle situazioni più drammatiche. Escogitare trucchi sempre nuovi per nascondere gli ebrei perseguitati o per racimolare un po’ di provviste da distribuire ai fuggiaschi è una «operazione», come la chiama l’autore, che sembra sconfinare nella zingarata, ma resta sorretta dall’implacabile consapevolezza di chi ha scelto di non arrendersi davanti al male. In questa battaglia silenziosa, don Angeli può vantare su un alleato d’eccezione, conosciuto con il soprannome di «nonnino»: un uomo di una certa età, che fa la spola tra la Toscana e Roma per consegnare messaggi clandestini. Si tratta di suo padre, catturato poco prima che anche il sacerdote venga raggiunto dalla Gestapo nella villa di campagna in cui ha trovato rifugio.

Dal 17 maggio 1944, giorno dell’arresto, inizia la discesa di don Angeli nell’inferno dei Lager. Una discesa che, con la solita ironia, il diretto interessato descrive sotto forma di un paradossale avanzamento di carriera, dato che nel trasferimento da un campo all’altro l’internato si trova a portare un numero di matricola sempre più alto. La prima tappa è a Fossoli, che rispetto alle destinazioni successive appare come una specie di «villeggiatura». Per don Angeli, almeno, non per i tanti compagni di prigionia che transitano dal centro del Modenese per essere avviati alla morte. Tra di loro c’è anche Teresio Olivelli, il giovane alpino al quale si deve la formidabile preghiera («Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità») che don Angeli trascrive per intero.

La spiritualità ha un peso decisivo in questo resoconto. Se a Mauthausen non sopravvive che un unico sacramento – «l’unico ed il più necessario», annota il sacerdote –, e cioè la Confessione, la ripresa della pratica eucaristica coincide con l’approdo a Dachau, il Lager bavarese nel quale sono stati radunati i ministri del culto appartenenti alle varie confessioni cristiane. In maggioranza cattolici, sottolinea don Angeli, che non trattiene la commozione nel rievocare il momento in cui può finalmente tornare a ricevere la Comunione. È questione di umanità, non di devozione. «Negato un principio spirituale sussistente – argomenta l’autore, ricorrendo a un lessico teologico tanto tradizionale quanto efficace –, negata l’anima, l’uomo cessa di essere una persona con i suoi diritti ed i suoi doveri, per venire declassato al ruolo di semplice individuo, il cui valore si esaurisce in una funzione biologica, come tutti gli altri animali». Non per niente, nel libro è riservata una particolare compassione agli aguzzini, spesso giovanissimi, la cui umanità è stata compromessa dai dettami feroci del totalitarismo.

Il «reduce», alla fine, torna a casa, torna alla sua missione di sacerdote e di educatore. Don Angeli muore nel 1978. Sei anni prima, nel 1972, Paolo VI lo ha ricevuto in udienza privata insieme con altri dodici preti sopravvissuti a Dachau. Avranno parlato di Lager, senz’altro. Più ancora, avranno parlato di Vangelo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI