Ermanno il Lungo e Margherita la Grassa, le due torri maggiori, continuano a vigilare verso settentrione e verso occidente. Lo fanno da secoli, perché è verso settentrione e verso occidente che da secoli guardano gli estoni. Da oriente, dal lato della terra, solo nemici: i russi, che nel 1721 inglobarono l’Estonia e tutta la sponda est del Mar Baltico nell’impero zarista. E poi di nuovo nel 1939, quando l’impero di Mosca – diventato nel frattempo staliniano – stracciò l’indipendenza del 1918 e ridusse l’Estonia a Repubblica sovietica. Soltanto nel 1991 il collasso dell’Urss consentì al tricolore estone – blu, nero e bianco: i colori del cielo, della taiga e della neve – di tornare a garrire dalla sommità di Ermanno il Lungo, a marcare la vocazione europea dell’Estonia. Che, dopo il riassestamento post-sovietico, ha percorso le tappe del suo ritorno a casa: nell’Unione Europea e nella Nato nel 2004, nell’area Schengen nel 2007, nell’euro nel 2011.Evento che coincide con la nomina di Tallinn a capitale europea della cultura, in coppia con la finlandese Turku. Abbinata gradita, visto che estoni e finlandesi condividono lo stesso ceppo finnico, del quale vanno tenacemente orgogliosi e che li distingue dai loro vicini scandinavi, di ascendenza germanica, e lettoni e lituani, di matrice baltica. Per non parlare dei russi slavi, con i quali vorrebbero avere il meno a che fare possibile; difficile, per l’Estonia, dove i quarant’anni di occupazione sovietica hanno lasciato in eredità una massa di immigrati proprio slavi, per lo più russi e arrivati ormai alla terza generazione, la cui (mancata) integrazione è il problema sociale più spinoso del piccolo Paese nordico. Scrive Emil Tode, tra i più interessanti scrittori dell’Estonia post-sovietica: «Il Paese è bagnato su due lati da un mare piatto e pietroso, che durante l’inverno viene chiuso da un coperchio come un barile di crauti, e tra le cui nebbie i fari ruotano i loro fasci di luce. Sul terzo lato un vasto lago dove grandi pescatori dalla barba rossa catturano piccolissimi pesci argentati. Sul quarto lato infine, il lato del sole, si stende una serie di Stati poveri e cupi». Tallinn è città di crocevia: città nata tedesca, diventata danese e poi svedese e poi russa; soltanto nell’Ottocento ha acquisito una coloritura nettamente estone, anche se fino alla Seconda guerra mondiale la classe dirigente del Paese è stata composta dai cosiddetti "baroni baltici", di cultura e lingua tedesche. La stessa parola "Tallinn" in estone vuol dire "città danese", ma è solo uno dei tanti nomi della città: gli estoni amano quello mitologico, "Lindanise" – da Linda, la fedele sposa dell’eroe Kalev –, che rimanda direttamente al poema epico nazionale, il
Kalevipoeg scritto nell’Ottocento da Friedrich Reinhold Kreutzwald. Per i tedeschi invece era Reval, il nome con il quale la città fece parte della Lega anseatica fin dal 1285. Allora aveva poco più di un secolo di vita, essendo il 1154 la sua data di nascita tradizionale; già nel 1219 fu conquistata dai danesi, e subito dopo (1227) dai Cavalieri Portaspada, presto a loro volta assorbiti nell’Ordine Teutonico. Entrata nell’orbita germanica, Tallinn fiorì grazie all’insediamento di alcuni mercanti di Lubecca, la città di Thomas Mann: e in effetti molto del centro storico di Tallinn ricorda la città de
I Buddenbrook, testimonianza dell’omogeneità, non solo commerciale ma anche culturale, di quella civiltà che fu la Lega anseatica. Tallinn assunse il suo volto definitivo dopo l’incendio del 1443; è quindi un borgo cinque-seicentesco, abbracciato ma non costretto da una fiabesca cinta muraria ancora miracolosamente integra, scampata alla conquista svedese, alla Grande guerra del Nord che la consegnò ai russi, ai bombardamenti degli stessi russi durante la Seconda guerra mondiale.Il risultato di tanti travagli è oggi una città salotto. Suo cuore è la piazza del Municipio (Raekoja plats), dominata dall’elegante palazzo di città con porticato all’italiana e torre slanciata, uno dei pochi edifici civili gotici sopravvissuti nell’Europa settentrionale. A fargli da corona, intorno all’acciottolato, palazzi a due-tre piani eretti nel rigoroso stile neoclassico delle capitali del Nord, con le facciate scandite da bianche finestre e tinteggiate a colori vivaci. Un tempo dimore aristocratiche dei baroni baltici, oggi ospitano un’infilata di locali nei quali si concentra la vita sociale e culturale della città. Dalla piazza del Municipio partono le viuzze della città vecchia (Vannalinn), immutate dal Cinquecento e lungo le quali si allineano le severe e funzionali case di pietra o a graticcio dei mercanti anseatici: le più antiche e caratteristiche, come le "Tre sorelle" (Kolm Õde), sono stretti edifici di quattro o cinque piani, compressi al punto che i vari ordini di finestre quasi si toccano l’un con l’altro; all’ultimo, proprio sotto lo slanciato frontone triangolare, sporge immancabile la trave lignea che sorreggeva la carrucola per sollevare i sacchi delle granaglie e delle altre merci. Oggi i curatissimi vicoli della città vecchia ospitano negozietti e botteghe artigiane, piacevole passeggio ai piedi della collina della cattedrale (Toompea) sulla quale si fronteggiano il duomo luterano, severo tempio gotico intonacato di bianco, e la cattedrale ortodossa di Aleksandr Nevskij, fioritura tardo-ottocentesca di cupole a cipolla, di spumeggianti decorazioni e di articolate facciate dal colore squillante. Non lo amano, gli estoni, quel lascito della dominazione zarista, corpo estraneo nell’omogeneo tessuto della città e monito permanente dell’espansionismo moscovita. Avevano addirittura pensato di abbatterlo, salvo poi risolversi a restaurarlo e a trattarlo da esotica curiosità per turisti – anche per non rinfocolare le sempre latenti tensioni con la minoranza russa, che a Tallinn rappresenta quasi metà del mezzo milione di abitanti, concentrata nei quartieri periferici eretti in era sovietica. Ma a marcare il profilo della città è soprattutto l’affilato campanile della chiesa di Sant’Olav, l’edificio più alto del mondo dalla sua costruzione, nel 1549, fino al 1625; sorge al margine settentrionale della città vecchia, a ridosso di Margherita la Grassa. Più in là, oltre le mura, si apre il porto dal quale in cento minuti le veloci navi costruite in Italia raggiungono la dirimpettaia Helsinki. Verso sud, «il lato del sole» di Emil Tode, la città si stempera invece delicatamente in un reticolo di villette modeste e ordinate, spesso di legno e a un solo piano, ormai quasi tutte rinfrescate da colori vivaci e circondate da lindi giardinetti cinti da steccati. Oltre, soltanto più la taiga punteggiata di stagni, estrema propaggine occidentale della foresta di pini e betulle che si stende immensa verso l’interno del continente.