mercoledì 29 giugno 2011
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Sul Col Rodella, cocuzzolo roccioso nel cuore della val di Fassa, gli hanno dedicato «La via dei preti», un quarto grado. Don Tita Soraruf, detto il curato del Larsèc, è stato un cireneo degli anni d’oro dell’alpinismo trentino, quando il "diavolo delle Dolomiti" Tita Piaz duettava a distanza con la filosofia di Paul Preuss, ma è anche uno dei pochi sacerdoti montanari entrato nelle cronache alpinistiche. Anche in biblioteca, forse per la tradizione laica della stessa letteratura di montagna, non sono numerosi i testi che riconoscono il contributo dei preti con gli scarponi, spinti alla scoperta del territorio dalla condivisione con i loro parrocchiani (e i loro primi ospiti). Una lacuna segnalata nel 2004 dal prezioso volume dello storico Andrea Vannini Tonache e piccozze (CDA & Vivalda Editori), che evidenzia, già agli albori dell’alpinismo, fra gli esploratori naturalisti del Settecento e gli aristocratici borghesi dell’Ottocento, il ruolo di sacerdoti carismatici. Come don Giuseppe Gnifetti, il parroco di Alagna, che guidò nell’agosto 1842 sul monte Rosa una spedizione alla Punta del Segnale o il suo discepolo don Giuseppe Farinetti, che diventerà vicepresidente del CAI dal 1875 al 1879. Per non dire degli scienziati, come il naturalista don Antonio Stoppani (1824-1891) e il vulcanologo don Giuseppe Mercalli (1850-1914), fino a quel bibliotecario dell’Ambrosiana che aprì la via normale del Monte Bianco: Achille Ratti, divenuto poi Pio XI. Ma nel secolo scorso le vicende tra la Grande Guerra (con i cappellani degli alpini e dei profughi) e l’alpinismo "di massa" sulle Alpi hanno fatto emergere generose e umili figure di parroci montanari, che hanno collaborato con guide alpine e soccorritori e accompagnato gli arditi giovani della valle, tracciando significative vie a quello che poi si chiamerà il "turismo sociale". Lo sottolinea finalmente, almeno per il territorio trentino e altoatesino, l’ottantenne monsignor Giuseppe Grosselli, che ha presentato recentemente nell’ambito del "Filmfestival della montagna" di Trento il volume Preti con lo zaino (Editrice Vita Trentina), in cui coglie la memoria, ma soprattutto le ragioni pedagogiche e pastorali delle esperienze del secolo scorso: «Negli anni Cinquanta e Settanta – ricorda Grosselli, già quintogradista di buon livello e affidabile capocordata, poi delegato per la pastorale del Turismo – sarà capitato a molti d’incontrare sui sentieri lunghe code di ragazzi e ragazze con il "sacco di montagna" in spalla. Il passo era cadenzato da un adulto che molti chiamavano affettuosamente "zio", ma in verità era un prete, quasi sempre senza la tonaca: sarebbe stata d’obbligo secondo i canoni del tempo, ma in montagna si chiudeva un occhio». Gli oltre trenta ritratti di Grosselli (da don Martino Delugan, di Primiero, alpinista modello, al leader del Soccorso Alpino di Solda, don Josef Hurton, attraverso tanti cappellani dei giovani universitari cattolici, degli alpini o degli oratori) portano alla luce alcuni aspetti dimenticati: la formazione alla spiritualità della montagna fin dai campeggi con il seminario, la necessità di una formazione specifica e la disponibilità a condividere i momenti tragici o luttuosi, come ricorda don Erminio Vanzetta, ora parroco in val di Fassa, dopo 400 interventi di soccorso effettuati a Primiero: «Uno dei compiti più pesanti e preziosi è avvicinare e consolare i parenti delle vittime». Questa ricerca storica trentina, meritevole di essere "copiata" in altre diocesi alpine, vuole anche ricordare la schiera di «militi ignoti» che «hanno introdotto generazioni di giovani allo stupore incancellabile della montagna», è teso a documentare come tuttora, anche in tempi di fuga dalla fatica e dal sacrificio, accompagnare la gente, il popolo di Dio, in montagna sia un’opportunità pastorale formidabile. È merito di laici "formati" nei campeggi o nei campi scuola, proprio da tanti «preti con lo zaino», dare continuità a questa tradizione. Con quel che comporta: preparazione alle regole e allo spirito della montagna, stile gioioso di essenzialità e sobrietà (che non è solo degli scout e dei loro assistenti ecclesiali), attenzione ai più deboli e alle famiglie, valorizzazione degli itinerari spirituali come il "Sentiero Frassati" per i giovani. I «preti con lo zaino» non sono una razza in via d’estinzione, ma un modello ancora in grado di suscitare vocazioni, al sacerdozio e alla montagna.
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