venerdì 4 marzo 2016
SUFFRAGETTE: al cinema la forza delle donne
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«Il ruolo della donna nella storia è stato marginalizzato, io voglio dedicare il mio cinema a riscoprirlo». È appassionata e convinta  Sarah Gavron, la regista del film Suffragette nelle sale italiane da ieri, a ridosso non solo delle celebrazioni dell’8 marzo, ma anche dell’importante anniversario dei 70 anni del primo voto delle donne in Italia. Era il 10 marzo 1946, quando le donne italiane si recarono per la prima volta ai seggi delle elezioni amministrative grazie al decreto legislativo emanato il 31 gennaio 1945. Un argomento che sta particolarmente a cuore alla regista, che dedica a tutte le donne un film frutto di accurate ricerche storiche condotte su diari e memoriali inediti, registri della polizia e testi accademici che inquadra il movimento politico delle Suffragette nella Londra alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. A partire dalle fabbriche in cui le lavoratrici, senza rappresentanza politica, erano doppiamente sfruttate.  Siamo nel 1912 e la giovane Maud (Carey Mulligan), operaia, sposa e madre, si ammazza di fatica 13 ore al giorno da quando aveva 8 anni in una lavanderia dalle condizioni inumane. La sua vicenda si intreccia all’improvviso a quella della lotta del movimento suffragista femminile britannico, il Wspu ( Women’s Socialand Political Union) istituito nel 1903 a Manchester da Emmeline Pankhurts (nel film Meryl Streep) il cui motto era: «Noi non vogliamo infrangere le leggi, vogliamo fare le leggi». Avvicinata da una compagna di lavanderia, dapprima titubante, Maud riesce pian piano a rendersi conto che senza il voto le possibilità di avere un futuro migliore sarà impossibile. A pensarla come lei anche la farmacista borghese Edith, interpretata da Helena Bonham Carter, il cui bisnonno Lord Herbert H. Asquith era Primo Ministro all’epoca dei fatti raccontati. L’attrice sospetta che una delle principali obiezioni di Lord Asquith alle Suffragette fosse l’aspetto violento della loro campagna. Nel 1912, dopo decenni di proteste pacifiche durante i quali la loro battaglia era stata considerata ridicola e con sufficienza in Parlamento, le donne erano diventate più combattive, incatenandosi a ringhiere, incendiando le cassette postali, rompendo finestre e vetrine.  Da lì inizia l’avventura di Maude, esaltante, ma rischiosa, che stravolgerà la sua vita compromettendo il suo matrimonio e il suo lavoro. La protesta femminile dilaga in tutta la nazione, fra cariche di polizia, indagini, arresti e diffamatorie campagne stampa. La loro protesta arriverà, non senza estremi sacrifici, fino al re Giorgio V. Un fatto vero su cui il film si chiude con toccanti immagini d’epoca. «Non ho mai sentito la storia delle Suffragette né al liceo e neanche all’università. Un grave vuoto storico», spiega ad Avvenire la regista. «Con le loro azioni eclatanti ebbero un grande impatto mediatico e dobbiamo a loro molte conquiste di oggi», aggiunge la cineasta. Non a caso sui titoli di coda del film scorre un elenco di Paesi con la data in cui venne concesso il diritto di voto: si parte dal 1893 in Nuova Zelanda, seguita nel 1902 dall’Australia, per passare al 1918 in Gran Bretagna, Austria e Germania, al 1945 in Italia sino ad arrivare, passo dopo passo, al 2003 in Oman e al 2015 in Arabia Saudita con la “promessa” di voto alle donne. «Quella verso l’eguaglianza è una lunga strada. E queste date ci fanno capire come il voto sia una conquista recente in Occidente, ma purtroppo ancora lontana in molti Paesi – aggiunge la Gavron –. Dobbiamo ricordarci quanto è stato duro per le nostre nonne e mamme raggiungere quel diritto, e quanto è prezioso per noi». Purtroppo, le nuove generazioni spesso non se ne rendono conto. «Il problema della Gran Bretagna, e sono sicura anche dell’Italia, è che i giovani, soprattutto le giovani donne, non vanno a votare. È un grande problema che il governo dovrebbe prendere a cuore. E se qualcuno, anche dopo avere visto il mio film, si convince ad andare a votare, è già un risultato importante». La parità dei diritti per le donne, è ancora, però spesso incompleta. «C’è molto ancora da fare anche nel mondo occidentale. Anche in Inghilterra non c’è trasparenza sulle differenze di stipendio, non c’è equa rappresentazione delle donne nel Parlamento, non ci sono abbastanza donne nei posti di comando nelle aziende, è c’è ancora molta violenza sessuale sulle donne come purtroppo mostra la cronaca».  Ma da dove deriva tanta violenza? «È una attitudine sociale, causata da una sbagliata rappresentazione delle donne nei media e da una scarsa educazione sui loro diritti. Lungi dal demonizzare gli uomini, l’eguaglianza è buona per tutti, non solo per le donne, è importante per nostri figli e figlie» conclude la regista che ha lanciato la campagna mediatica #never surrender/ never give up the fight (mai arrendersi, mai smettere di lottare). «Il rischio di tornare indietro è sempre dietro l’angolo. È importante che le donne si sentano incaricate del cambiamento, e non si adagino sui risultati ottenuti». Il femminismo, però, non è stato esente da errori. «Una cosa importante nella lotta per i diritti delle donne è essere inclusivi, ovvero includere anche gli uomini, donne di diversa provenienza, colore, orientamento sessuale, classe sociale – afferma la regista –. In passato l’errore è stato quello di essere solo un movimento limitato alla borghesia bianca».
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