martedì 12 luglio 2022
Le prime cinque fotografie scattate dal telescopio Webb, l’erede del celebre Hubble, mostrano due nebulose, lo spettro di un pianeta gigante, un quintetto di galassie e distorsioni dello spazio
Nebulosa Carina

Nebulosa Carina - Nasa, Esa, Csa, Stsci, Webb Ero Production Team/Reuters

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Sono arrivate con il contagocce, ma ora le prime cinque fotografie scattate dal telescopio spaziale James Webb sono qui, davanti ai nostri occhi per mostrarci ambienti, caratteristiche ed oggetti dell’Universo come mai li avevamo visti prima. L’altro ieri sera, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si era preso l’onore di mostrare la prima fotografia di una serie di cinque, quella che mostrava le galassie più antiche dell’Universo in tutta la loro bellezza; ieri pomeriggio, la Nasa ha diffuso le altre quattro che erano previste per questa prima sessione. Le immagini sono realmente spettacolari e superano ogni aspettativa degli stessi astronomi. Mostrano due nebulose, lo spettro di un pianeta gigante, un quintetto di galassie e, in quella rilasciata precedentemente, una distorsione dello spazio prodotto da un ammasso di galassie che permette di osservare oggetti molto lontani che si trovano dietro di esse. «Un’impresa audace in collaborazione con l’Europa e l’agenzia spaziale canadese», ha detto Eric Smith, uno scienziato del programma Webb della Nasa che ha lavorato nel gruppo di ricerca fin dai suoi inizi a metà degli anni 90. E la Nasa ha aggiunto che le immagini diffuse ieri sono un «momento unico per tutti noi per fermarci ed ammirare una vista dell’Universo che l’umanità non aveva mai visto prima».

Ma questo è solo il primo bottino di osservazioni, dice l’ente spaziale americano, in quanto il telescopio James Webb inizia ora le vere ricerche scientifiche di vivai di stelle lontane, di studi di pianeti che si trovano attorno ad altre stelle e di galassie nate e formatesi appena dopo il Big Bang. Costato circa 10 miliardi e mezzo di dollari, il telescopio spaziale sarebbe dovuto partire per lo spazio nel 2007. Ma enormi problemi ingegneristici, aumento dei costi e vari altri problemi ne hanno post posto il lancio allo scorso 25 dicembre. Come previsto ha raggiunto il suo punto di osservazione a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, dove la gravità del nostro Pianeta, del Sole e della Luna si annullano e dunque, lontano da ogni interferenza, può scandagliare il cielo in modo più preciso e accurato rispetto ad ogni altro telescopio. Andrà alla ricerca di indizi della nascita dell’Universo, in quanto dovrebbe osservare galassie e stelle vecchie di 13,5 miliardi di anni (ossia oggetti la cui luce partì quando l’Universo aveva solo 100-200 milioni di anni) e andrà alla ricerca di possibili testimonianze di vita su pianeti extrasolari. «Questo telescopio è così potente che sarebbe in grado di osservare un calabrone sulla Luna», ha detto John Mather, scienziato del Progetto presso il Goddard Space della Nasa.

È il successore del telescopio spaziale Hubble nel senso che allarga il campo di indagine a distanze e a lunghezze d’onda maggiori, che ci permetteranno di osservare oggetti più antichi di quelli che Hubble poteva rilevare, ma è molto di più perché realmente ci porterà ai confini del tempo e dello spazio che ci è permesso di osservare. Ciò sarà possibile perché il suo specchio che raccoglie la luce possiede un diametro di 6,5 metri (quello di Hubble è di 2,4 metri). Grazie ad esso potrà raccogliere molta più luce di Hubble e, in questo modo, osservare ciò che quest’ultimo non è riuscito ad osservare. Per studiare quegli oggetti il telescopio scandaglierà l’Universo nella luce infrarossa, perché la luce prodotta da quelle antiche stelle è stata “stirata” nel tempo a causa del loro allontanamento e oggi si possono appunto scoprire e studiare solamente nell’infrarosso, ottimale anche per lo studio dei pianeti extrasolari. Ma grazie alle sue caratteristiche potrà osservare anche asteroidi, comete e lune dei pianeti del nostro sistema solare. Inoltre riuscirà ad penetrare nelle nuvole di polvere là dove si formano le stelle perché la luce infrarossa è in grado di uscire dalla polvere e quindi di essere catturata dal telescopio. Per lavorare nell’infrarosso però, il telescopio deve essere molto freddo e per questo ha disteso un “ombrello gigante” per proteggersi dalle radiazioni solari. La nuova era nell’esplorazione spaziale è dunque iniziata, presto le sorprese potrebbero arrivare a cascata.

Nebulosa Carina

A circa 7500 anni luce di distanza da noi, nella costellazione della Carena, giace una nebulosa all’interno della quale le stelle si formano e muoiono fianco a fianco. Alcune nebulose infatti, sono vivai stellari dove si formano le stelle. La Nebulosa Carina ospita molte stelle massicce diverse volte più grandi del Sole. La nebulosa è formata per gran parte da idrogeno, mentre l’elio costituisce un quarto della sua massa totale; altri elementi più pesanti sono presenti solo in piccole percentuali. Con la sua ampiezza di oltre 260 anni luce, la Nebulosa Carina è una delle più grandi regioni di formazione stellare della Via Lattea ed è facilmente visibile a occhio nudo. Sfortunatamente per quelli di noi che vivono nel nord del mondo, si trova a 60 gradi sotto l’equatore celeste, quindi è visibile solo dall’emisfero australe o al più nelle aree tropicali boreali.

Wasp-96b

WASP 96b

WASP 96b - Nasa, Esa, Csa, Stsci, Webb Ero Production Team/Reuters

Wasp-96b è un pianeta gigante al di fuori del nostro sistema solare, composto principalmente da gas. Il pianeta, situato a quasi 1.150 anni luce dalla Terra, orbita attorno alla sua stella ogni 3,4 giorni. Ha circa la metà della massa di Giove e la sua scoperta è stata annunciata nel 2014. Il telescopio Webb è riuscito a a studiare la composizione chimica dell’atmosfera dando modo agli astronomi di osservare la presenza di acqua. Per realizzare ciò ha realizzato lo spettro della luce che arriva dal pianeta. Lo spettro è la suddivisione della luce in tutte le sue lunghezze d’onda. Si può pensare allo "spettro" come ai codici a barre. Ciò significa che l’atmosfera presenta nuvole delle quali nessuno aveva ipotizzato l’esistenza. Ogni linea rappresenta una molecola o un elemento diverso nell’atmosfera di Wasp-96 b. La scoperta di Webb è importante perché è proprio studiando le atmosfere dei pianeti che si può determinare in modo indiretto la possibile presenza di vita.

Nebulosa dell’anello del Sud

Nebulosa dell'anello del Sud

Nebulosa dell'anello del Sud - Nasa, Esa, Csa, Stsci, Webb Ero Production Team/Reuters

È una nebulosa planetaria visibile nella Costellazione delle Vele. Le nebulose planetarie sono costituite da una stella con un involucro incandescente di gas ionizzato in espansione, espulso durante la fare finale della vita della stella stessa. Le foto della nebulosa rivelano due stelle molto vicine, una di decima e l’altra di sedicesima magnitudine apparente (la magnitudine apparente è la luminosità di un oggetto legato alla distanza dalla Terra). La stella centrale, responsabile della formazione della nebulosa, è la più debole delle due; questa stella centrale possiede una superficie molto calda, di circa 100.000 gradi centigradi ed emette intensa radiazione ultravioletta, che illumina i gas della nebulosa. Questo guscio gassoso si espande alla velocità di circa 24 chilometri al secondo. Webb ha scoperto che anche la seconda stella è circondata da polvere, cosa che fino adesso era sfuggita agli astronomi. La distanza della nebulosa dal nostro sistema solare è stimata sui 2000 anni luce e dunque la luce che colpito lo specchio del Webb è partita circa 2000 anni fa. Nell’immagine a lato la medesima nebulosa fotografata dal Webb, a sinistra, e dallo Hubble, a destra.

Quintetto di Stephan

Quintetto di Stephan

Quintetto di Stephan - Nasa, Esa, Csa, Stsci, Webb Ero Production Team/Reuters

È un gruppo di cinque galassie situato in direzione della costellazione di Pegaso. Fu il primo gruppo di galassie ad essere scoperto: fu portato alla luce dall’astronomo francese Édouard Stephan nel 1877 all’Osservatorio di Marsiglia ed è il più studiato di tutti i gruppi compatti di galassie. Nonostante il nome dato loro faccia pensare che siano galassie vicine le une le altre, in realtà non tutte si trovano realmente a contatto: Ngc 7320 infatti, si trova in sovrapposizione casuale con le altre per via della nostra linea di osservazione e si trova a soli 40 milioni di anni luce da noi. Le altre invece, che si trovano a circa 290 milioni di anni luce, stanno realmente scontrandosi tra loro e Webb ha messo in luce ampie code di gas, polveri e stelle estratte dalle galassie dalla forza di gravità di ciascuna di esse. Nella galassia che si trova più in alto vi è un buco nero molto attivo nel cuore della galassia stessa che possiede una massa di 24 milioni di volte la massa del Sole.

Smacs 0723

SMACS 0723

SMACS 0723 - Nasa, Esa, Csa, Stsci, Webb Ero Production Team/Reuters

Si tratta di un ammasso di galassie che l’immagine del Webb ci mostra con dettagli che gli astronomi non avevano neppure immaginato di poter osservare. Migliaia di galassie, inclusi gli oggetti più deboli mai osservati nell’infrarosso, appaiono agli occhi dell’uomo per la prima volta. Quest’area di Universo copre una porzione di cielo grande come un granello di sabbia tenuto a distanza di un braccio da una persona qui sulla Terra. L’immagine è stata ripresa dalla NirCam (Near-Infrard Camera) rimanendo esposta per 12 ore e mezza. L’ammasso di galassie in primo piano agisce come una lente gravitazionale ingrandendo le galassie molto più lontane che si trovano dietro di esse e che sono state messe a fuoco anch’esse dal telescopio. Per capire ciò, si guardi l’immagine con attenzione: si vedono degli oggetti allungati quasi a formare parti di circonferenza: quegli oggetti sono galassie lontane circa 13 miliardi di anni luce (l’Universo è nato circa 13,8 miliardi di anni fa) distorte dalla massa di Smacs 0723 per un effetto noto come “lente gravitazionale”.

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