domenica 6 ottobre 2019
Ciclicamente si assiste a momenti in cui prevale il rimpianto per il passato, vero o più spesso presunto, che dà forma a movimenti sovranisti. La riflessione del sociologo Paolo Sorbi
Sovranismi e nazionalismi: quando la politica si ammala di nostalgia
COMMENTA E CONDIVIDI

Basta compiere alcuni raffronti tra molte ricerche sociologiche sui peculiari conflitti portatori di nostalgie antimoderne, per avvertire in quale misura il connesso tema della nostalgia in politica sia stato trascurato dalla comunità dei ricercatori sociali. Eppure il proliferare in questi anni di guerre civili non meno cruente di quelle del passato secolo, come il crescente coinvolgimento di grandi potenze con ideologie geopolitiche, contribuiscono al rifiorire dell’interesse per la psicologia politica. Psicologia politica intesa come disciplina, nell’ambito delle scienze umane, che tende a far emergere sempre più la questione delle ossessioni fra gli umani e indaga il modo di come si formano vere e proprie emozioni collettive, determinate dal fatto che l’individuo, preso singolarmente, differisce, nei comportamenti, dallo stesso soggetto collocato nelle azioni di un movimento.

A prima vista la nostalgia può apparire termine troppo intimistico, dell’individuo isolato, introverso. La psicologia politica invece indica quanto il pensiero nostalgico sia proveniente da profondi atteggiamenti e valori antimoderni – antimoderno inteso come processo restauratore di un profilo di società avanzata, occidentale, che vorrebbe mettere capo a una rinascita nazionalista verso una comunità sociale di tipo “armonioso”, come ha ben descritto il sociologo americano Grey Anderson nel suo recente volume La guerre civile en France, 1958-1962 pubblicato dalla casa editrice francese La fabrique nel 2018.

Anderson è uno storico, titolare di un corso di dottorato sulla storia politica e militare dell’Europa contemporanea all’università di Yale, e delinea il contesto sociale della fine degli anni ’50 in Francia, dove operarono diffuse élite legate a teorie nostalgiche verso la realtà declinante dei territori coloniali francesi, specialmente riguardo all’Algeria. Queste élite erano inserite nelle alte sfere degli apparati militari ed istituzionali della oramai tramontante Quarta repubblica francese.

Maggio 1958: è l’inizio di una sequenza insurrezionale in cui i destini della madrepatria francese si sono giocati ad Algeri. Sta terminando la Quarta repubblica ed ampie forze sociali ed istituzionali si appellano al generale De Gaulle. Sono anche momenti emergenti di nuove frazioni politiche legate al generale che fu capo della resistenza al nazifascismo e che giocano a favore della democrazia contro azioni sovversive della destra nostalgica. Nostalgica di che cosa? Di un’idealistica Francia (in realtà pochissimo esistita) vissuta come vero e proprio territorio da cui “deve” partire un combattimento planetario contro il comunismo. Spazio francese come sede di una “civilizzazione mondiale” nel solco della tradizione che ci si illudeva fosse stata fondata da Giovanna d’Arco e, più laicisticamente, radice di quell’illuminismo giacobino ritenuto patrimonio assoluto dai “sovranisti” di quel momento.

Va tenuto anche presente il crollo, già nel maggio del 1954, della cosiddetta Indocina francese, a causa della grande sconfitta a Dien Bien Phu ad opera della forze nazionaliste rivoluzionarie vietnamite comandate dal generale Giap. La capitolazione dei quelle postazioni fortificate comunicò simbolicamente all’opinione pubblica francese, che, per la prima volta nella storia moderna, le forze coloniali avevano perso di fronte ai ribelli di quei territori. Quella battaglia restò un simbolo. Essa fu una sorta di Valmy dei popoli colonizzati.

Risorge così in quegli anni in Francia la centralità dell’antimoderno e delle sue nostalgie. La fine della societas christiana, il tramonto di quei valori sul senso del mondo. La reazione verbalmente scatenata di De Maistre, di Bonald, di Donoso, i loro toni apocalittici erano figura di una disperazione avanzante, di un’intuizione di “aver già perduto”. In effetti era l’incapacità di fare i conti con i processi modernizzanti della laicizzazione e delle secolarizzazioni dei comportamenti e dei valori che sembrava un destino.

Ma ecco una strada imprevista si apre all’orizzonte culturale e politico di queste élite: usare il moderno contro se stesso, a patto di saperne leggere i confini, le forze, i contrasti. Lì, nel cuore della modernità francese, in quelle masse popolari nostalgiche, impiantare il grimaldello della crisi definitiva della democrazia liberale e la reazione di queste élite, nel loro linguaggio si trasforma, in quegli anni, in rivoluzione nazionale e sovranista.

Sono tali e così complesse le spinte e controspinte tra le forze in campo che le componenti reazionarie e antigaulliste non si rendono ben conto come l’accelerazione del conflitto in Francia porti le giovani oligarchie gaulliste a dialogare sempre di più con il movimento di liberazione algerino che vuole ottenere la sua sovrana indipendenza.

Il putsch nostalgico si realizzò ad Algeri alle 7 del mattino del 22 aprile 1961. Diretto dai tre “generali felloni” per l’abbattimento della democrazia francese, Salan, Challe e Jouhaud. La grande emozionalità del tentato colpo di Stato portò le realtà diffuse dei coloni francesi, denominati pieds-noirs dall’antica nostalgia che loro provavano nell’essere eredi della nera terra algerina da loro dissodata, ma anche crudelmente governata, a grandi mobilitazioni. Specialmente ad Algeri, ma anche a Parigi.

Il movimento dei pieds-noirs si radicò molto nel territorio algerino ed anche nel Sud della Francia. Si formò anche, clandestinamente, l’organizzazione che prese il nome di Oas (Organisation de l’armèe secrète) che realizzò azioni terroristiche e che produssero ulteriori radicalizzazioni portando il generale De Gaulle alla presidenza della repubblica. Egli promise l’unità ai francesi, intendendo un’unità democratica e aperta al dialogo con il fronte di liberazione nazionale algerino, realizzando i colloqui del processo di indipendenza nella cittadina francese di Evian. Ovviamente la risposta delle forze ribelli dell’esercito e dei pieds-noirs fu di tipo sovversivo.

Il ciclo politico 1958-62 aprì una nuova fase della storia della Francia contemporanea. Però gli sviluppi delle lotte di liberazione in Africa portarono sempre di più all’emarginazione dei disegni sovranisti che idealizzavano “un’Europa cristiana” e che già antropologicamente non avevano più spazi sociali data l’emergenza di nuove tipologie consumistiche e secolarizzate. La drammatizzazione strategica enfatizzata dalle forze reazionarie, come baluardo all’invasione africana e comunista, offrì una via paradossale per neutralizzare quei traumi sociali: i pericoli di guerra civile e il tentativo di imporre un autoritarismo senza senso in una Francia che avrebbe visto l’esplosione, orientata in tutt’altra direzione, durante il maggio ’68.

Certamente la nascita della Quinta repubblica (gaullista), certe predisposizioni dei costituenti francesi funzionali ad una non-rappresentanza proporzionalista, portarono verso una costituzione presidenzialista, perché, dovendo scegliere in quegli anni fra sovversivismo nostalgico e una gerarchizzazione istituzionale, optarono per la seconda, e cioè per la vita.

Rifiorisce l’interesse per la psicologia politica, la disciplina che indaga come si formano vere e proprie emozioni collettive Ciclicamente nella storia si assiste a momenti in cui prevale il rimpianto per il passato, vero o più spesso presunto: la lezione della Quarta repubblica francese

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: