martedì 18 dicembre 2018
interprete in passato di una fiction su Madre Teresa, oggi è autore di uno spettacolo su don Tonino Bello: «Sono figure che mi hanno fatto crescere e migliorare. Modelli attuali per i giovani»
Sebastiano Somma

Sebastiano Somma

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La vita è fatta di incontri. E quella di un attore non fa eccezioni. Incontri professionali. E incontri che non t’aspetti e che pure cambiano all’improvviso le prospettive. Per Sebastiano Somma è stato più o meno così con don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta, al quale nello scorso mese di aprile papa Francesco ha reso omaggio con la visita a Molfetta e ad Alessano, i luoghi della sua vita. «Non l’ho mai conosciuto di persona - racconta ad Avvenire - , ma me ne sono “innamorato” tramite i suoi scritti. E così è nato un recital che spesso portiamo nelle scuole, l’ultima volta in ordine di tempo qualche settimana fa proprio a Molfetta». Don Tonino va così ad aggiungersi ad una “galleria” di personaggi di grande spessore spirituale, che Somma ha interpretato nella sua carriera e che comprendono tra gli altri un sacerdote amico di Madre Teresa, nell’omonima fiction tivù, il questore Giovanni Palatucci, lo Schindler italiano. «Sono figure che mi hanno aiutato a crescere, a migliorare sotto il profilo umano», dice l’attore originario di Castellammare di Stabia, che gli spettatori ricordano anche nei panni dell’avvocato Rocco Tasca (la fortunata fictionUn caso di coscienza) e che di recente ha recitato anche con il Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi, a fianco di attori diversamente abili.
Perché don Tonino?
All’inizio è stata la proposta di Rocco De Bernardis, direttore dell’orchestra “Mercadante” di Altamura e buon conoscitore del vescovo pugliese, con il quale avevo già lavorato a un progetto sulla Shoah tratto da un libro di Titti Marrone ( Meglio non sapere). Poi è diventato un mio vero e proprio colpo di fulmine, quando mi sono reso conto della grandezza di questa figura e della sua permanente attualità. Così abbiamo disegnato un itinerario alla scoperta della sua personalità, che comprende le letture mie e di mia moglie, Morgana Forcella, la musica dell’orchestra “Mercadante” e la sand art di Simona Gandola, che disegna con la sabbia varie figure fino a comporre il volto del vescovo.

Com’è dunque il “volto” di don Tonino Bello, visto dalla prospettiva di Sebastiano Somma?
È il volto di un vescovo scomodo, controcorrente, coraggioso, ma non certo un eroe. Un uomo che non aveva paura di dire la verità, perché la sua vita era radicata in Dio. Un profeta dunque, non nel senso di chi predice il futuro, ma di chi parla proprio in nome di Dio. Se non lo si guarda da questa prospettiva, non si capisce il suo amore per i poveri, la sua battaglia contro le fabbriche delle armi, la sua marcia fino a Sarajevo, quando era già molto malato, e non si capiscono neanche le sue parole per i giovani.

Lei porta questo recital anche nelle scuole. Come reagiscono, appunto, i giovani?
In maniera sorprendente. Uno dei momenti più intensi è proprio la lettura della Lettera ai giovani. Quella in cui don Tonino chiede loro di essere «la coscienza critica del mondo», di diventare «sovversivi» alla maniera di san Francesco e cita Pablo Neruda: «Perché la vita non può essere un nastro d’argento tra due vaghe chiarità, tra due splendori?». Don Tonino sapeva parlare ai giovani con un linguaggio semplice e ai grandi in maniera complessa. Invitava a non vendere la vita per un piatto di lenticchie e amava la bellezza, l’arte, la musica. Un messaggio che arriva dritto al cuore. Tant’è vero che alla fine, durante il dibattito che segue il recital, spesso i giovani ci dicono: «Avessimo anche oggi qualcuno capace di parlarci così».

Non è la prima volta che lei entra nei panni di un ecclesiastico. Scelta o causalità?
Sono convinto che siano “segni”. Quando la Lux Vide mi offrì il personaggio del sacerdote nella fiction su Madre Teresa, ero in trattativa per una serie televisiva in cui mi avrebbero strapagato. Scelsi Madre Teresa e non me ne sono mai pentito, perché in quei due mesi nello Sri Lanka ho visto come davvero lavorano le suore della grande santa, ho visitato le loro case e sono stato testimone di un fatto straordinario.

Quale?

Durante la lavorazione il regista si ammalò gravemente e fu ricoverato in ospedale. La madre superiora di una delle case di Colombo, con la quale mi ero confidato, mi disse: «Oggi pomeriggio pregheremo per il suo amico» e mi dette una medaglietta. Io andai all’ospedale e gliela portai. E lui subito se la mise al collo. Non so se sia stato un miracolo, ma è certo che dal quel giorno ha cominciato a stare meglio e poi è completamente guarito.

Ci saranno altri personaggi del genere in futuro?
Non so. Da gennaio porterò in giro nei teatri un omaggio a Dalla e Battisti, Lucio incontra Lucio, insieme con un’orchestra di dieci musicisti, e uno spettacolo sull’Odissea, Ulisse ed io. Un desiderio ce l’ho. Di recente ho conosciuto il cardinale Ernest Simoni e mi piacerebbe raccontare la sua storia straordinaria di martirio, 28 anni ai lavori forzati sotto il regime comunista albanese. Vedremo.

E al cinema?
Ho recentemente recitato in un film di Fabrizio Guarducci, Mare di grano, una bella favola moderna in cui due bambini fanno un viaggio per riportare al mare un loro coetaneo che dal mare è arrivato e che si è perso. A un certo punto incontrano il mio personaggio che è più “bambino” e innocente di loro e insieme proseguono questo viaggio.

Detta così sembra una favola sul tema dell’immigrazione.
La questione in effetti è sfiorata. Ma è piuttosto un apologo sull’amicizia tra persone di diversa provenienza, sulla condivisione dei valori e sull’integrazione. Comunque qualcosa di molto attuale.

Anche alla luce di queste esperienze, qual è il suo augurio di Natale?
Lo esprimo facendo mio lo spirito di don Tonino. Sono certo che lui, se fosse fisicamente ancora presente tra noi, avrebbe augurato a ognuno di far nascere Gesù nel proprio cuore e non solo nel presepe. Un augurio di pace e di vicinanza a tutti, specie alle persone che soffrono di malattia, di solitudine e di emarginazione, che voglio far mio e diffondere, se possibile, anche con il mio lavoro.

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